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Le caverne tra Altamura e Gravina nobilitate dal ciak dai fratelli Taviani

 
Valentino Sgaramella

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Valentino Sgaramella

Nel 1990 sulla Murgia i maestri pisani diressero il film «Il sole anche di notte». Il ricordo di Paolo

Mercoledì 19 Agosto 2020, 13:00

È un film incentrato sulla ricerca di se stessi da parte dell’uomo. Un lungometraggio denso di significati che solo due giganti del cinema italiano, Paolo e Vittorio Taviani, avrebbero potuto portare nelle sale cinematografiche.

«Il sole anche di notte», girato soprattutto in Basilicata, a Matera e in altri luoghi come Craco ma anche in Puglia, sulla Murgia, tra Altamura e Gravina, nelle grotte di quella parte di Terra di Bari. Altre scene sono invece ambientate a Napoli, precisamente a Palazzo Reale.

Nel lavoro dei maestri pisani si approfondisce il tema della luce della verità e dell’eterno conflitto tra carne e spirito, intelletto e materialità, e della drammatica scelta tra due stili di vita. L’uomo non può obbedire a due padroni, per dirla in modo banale. La sua essenza, il motivo vero della sua superiorità rispetto agli altri organismi viventi sta nel suo intelletto, la sua psiche, la sua anima. Il libero arbitrio, la soggettività, stabilisce, cristianamente, da quale parte stare.

La trama riguarda un giovane rampollo della nobiltà lucana di fine Settecento, Sergio Giuramondo (l’attore britannico Julian Sands) che fin da piccolo ha un chiodo fisso: essere il primo aiutante del re Carlo III di Borbone. In effetti partecipa a una selezione tra aspiranti a quel ruolo e alla fine viene prescelto. Dovrà, per un accordo prestabilito, contrarre matrimonio con la duchessa Cristina Del Carpio (Nastassja Kinski), per elevare ancor più il suo rango nobiliare. Insomma, un contratto più che un matrimonio.

Sta di fatto che i due giovani lentamente si innamorano sul serio. Quando però la giovane confida a Sergio di essere stata amante del re Carlo, il giovane ha una specie di trauma. Non accetta questa verità. Sergio appare ferito nel proprio orgoglio e cambia tutti i piani della sua vita. Sarà eremita cristiano sul monte Petra. Nel suo eremo giunge Aurelia (Patricia Millardet, attrice francese recentemente scomparsa, nota per la sua partecipazione alla serie tv «La Piovra»), che lo seduce. Per vincere le tentazioni della carne, Sergio si taglia un dito della mano. Sconvolta, Aurelia fugge e divulga la notizia e intorno alla figura dell’eremita nascono leggende e un alone di santità. All’eremo giungono pellegrini in cerca di miracoli. Quel luogo si trasforma in una specie di santuario mentre Sergio si disorienta. Un giorno, il padre di una fanciulla semicieca e psicolabile, Matilda (Charlotte Gainsbourg), conduce sua figlia da lui perché la guarisca. Questa giovane sgretola tutte le sue resistenze, i due si innamorano. Padre Sergio crolla nella più terribile delle sue crisi essendo venuto meno alla sua coerenza e così fugge, si getta in un lago, ma riesce a salvarsi. Nel suo peregrinare giunge sulla tomba di due anziani che erano andati da lui in precedenza chiedendo il miracolo di poter morire insieme e lì trova la forza di riprendere un cammino di umiltà per poter incontrare Dio, «Il sole anche di notte».

Paolo e Vittorio Taviani (quest’ultimo scomparso due anni fa) introducono nella loro straordinaria filmografia il tema eterno della libertà individuale. Si può essere liberi solo a condizione che l’intelletto agisca autodeterminando se stesso con la volontà e senza lasciarsi sedurre da chimere come la sensualità o il potere terreno. Lo spirito vuole realizzare grandi disegni ma è incarcerato dalla carne che può dominarlo.

Uno degli interpreti è il grande Massimo Bonetti, che impersona il principe Santobono: «Era una storia assolutamente spirituale - ci racconta al telefono -. Come Paolo e Vittorio Taviani sanno fare, purtroppo ora solo Paolo, l’intento è quello di narrare vicende storiche sfidando la retorica». Massimo Bonetti si sofferma sulla sua partecipazione al film. «Ricordo che sul set c’era una sorta di rispetto per ciò che si stava raccontando. Eravamo tutti un po’ colpiti dalla spiritualità che si era trasferita anche lì. Era la storia di questo eremita che cercava la luce. Il significato più importante è avere visto oltre la storia in sé». L’attore romano 69enne aggiunge: «Solo Paolo Taviani a questo punto può dire ciò che loro hanno immaginato e pensato e tradotto sul grande schermo. L’unico mio rimpianto - confessa Bonetti tra il serio e il faceto - è non essere stato il protagonista».
Parlare dei fratelli Taviani significa fare riferimento a giganti del cinema italiano. Molti capolavori, quelli realizzati nella lunga carriera dei due maestri originari di San Miniato, in provincia di Pisa, ma romani a tutti gli effetti.

Raggiungiamo Paolo Taviani: «Non mi chiami maestro - esordisce dall’altro capo del filo - perché non mi sento maestro di niente». Il curriculum però parla chiaro. «San Michele aveva un gallo» del 1972, adattamento del racconto di Tolstoj «Il divino e l’umano», «Padre padrone» che nel 1977 valse la Palma d’oro al Festival di Cannes. E ancora «Il prato» e «La notte di San Lorenzo», per citare alcuni titoli. I maestri Taviani sono tra gli ambasciatori del cinema italiano nel mondo.

«Quel film oggi esiste solo nella cineteca - aggiunge il regista con un filo di tristezza nella voce -. Non è mai stato realizzato un dvd, per il fallimento della società che lo aveva prodotto. “Il sole anche di notte” è lì. Nessuno lo vede, nessuno lo rivede. Ne sento la mancanza. Cercherò di farlo restaurare. Andrebbe restaurato. È un lavoro cui mia moglie Lina (stimatissima costumista, ndr) e io teniamo molto. Anche mio fratello Vittorio ci teneva moltissimo. Invece poi è finito nel silenzio. È nel silenzio, tuttora. Mi affido alla Gazzetta del Mezzogiorno per lanciare un mio messaggio, sperando che qualcuno raccolga».

L’obiettivo del grande cineasta, insomma, è far uscire il lungometraggio del 1990 dal dimenticatoio, in modo che possa ritornare nel circuito delle programmazioni.

Paolo Taviani, a 88 anni, continua a lavorare. Sta preparando un film intitolato «Leonora addio» sulle opere di Pirandello che sarà pronto a fine anno. Per Massimo Bonetti ha sincere parole di elogio: «In quel film è bravissimo, come sempre. Un attore straordinario per il cinema italiano. Di recente, parlando proprio di Bonetti, mi è capitato su internet di guardare delle immagini di un lavoro teatrale per la regia di Giorgio Strehler. Una regia di altissimo livello de “La tempesta” di Shakespeare, una delle opere che amo di più e fa parte della mia formazione.

La rileggo quasi sempre. È sul mio comodino. Nel guardare quelle scene, ho visto che il giovane bello, buono e di cui non ricordo il nome in questo momento è un ragazzo con i riccioli straordinari. Guardo più con attenzione e scopro che si trattava di Bonetti, giovanissimo, agli inizi della carriera con Strehler».

Infine, il protagonista Julian Sands: «Ci trovammo subito d’accordo nel dare un’impostazione etica del personaggio. Niente realismo nella recitazione. Facevamo riferimento ai monaci, all’iconografia dei monaci. Sands ha assecondato questa nostra ricerca. Nastassja Kinski - sottolinea Paolo Taviani - è una delle più grandi attrici che ho incontrato, come Patricia Millardet». Di Charlotte Gainsbourg ricorda una scena: «Avevamo bisogno di una fanciulla giovanissima. Giungeva in questo eremo e Sergio ne viene sedotto. Un uomo che ha resistito a tutte le tentazioni possibili. C’è questa ragazzina ingenua, forse poco intelligente. C’è una tazza all’interno dell’eremo. Nella tazza c’è un po’ di latte. Non beve il latte prendendo la tazza con le mani. Si china e lecca il latte dalla tazza. Charlotte comprese tutto. Impersonò questa ragazzina sensuale e incosciente ma molto seducente». Infine, ancora su Bonetti: «Recita una delle battute più belle del film. Viene ferito e ritrova all’eremo un suo vecchio compagno d’armi. Parlano della fede. Bonetti dice a padre Sergio “chi cerca la fede non la troverà ma chi cerca la verità, forse, trova la fede”».

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