CONVERSANO - È qualche anno ormai che all’incantevole, tufaceo borgo di Conversano viene attribuito il premiante epiteto di «città d’arte». E se le numerose esposizioni tenutesi nelle sale del cittadino Castello Acquaviva d’Aragona, da Giorgio De Chirico a Man Ray, fino alla presente sul primitivo, naïf ed espressionista Antonio Ligabue (visitabile fino al ventinove ottobre), non dovessero bastare a convincerci del suo essere tale, dismetteremmo ogni perplessità visitando la Pinacoteca Civica.
All’interno della suddetta è conservato infatti, assieme ad un suo autoritratto, uno straordinario ciclo di dipinti (1640-43) di Paolo Finoglio, eccellente barocco napoletano, ritraente dieci scene cardine della “Gerusalemme Liberata” del Tasso. Il «Vasari napoletano» Bernardo de Dominici, pittore, storico dell’arte e biografo, nelle sue “Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani”, etichetta Finoglio quale allievo di Battistello Caracciolo: grande pittore partenopeo tardo-manierista, poi convinto seguace di Caravaggio (che di per certo conobbe nei suoi soggiorni napoletani), al punto da diventare uno dei più validi interpreti e riformatori della maniera del maestro lombardo. Difatti però, come attestano varie fonti autorevoli, il Finoglio non ne fu mai discepolo.
Certamente ne fu molto influenzato, così come nulla poté contro il fascino dell’arte del Merisi, divenendo a sua volta un grande caravaggista dal passo indipendente. Se Caracciolo, racimolato ogni insegnamento dalla voce del maestro, risulta campione nei primi piani e nella potenza espressiva delle figure, Finoglio, pur non avendo conosciuto il Merisi, riluce comunque straordinariamente, curando sì i primi piani, ma riuscendo ancor più abile nella realizzazione del dettaglio, delle retrovie dell’opera: dal chiaroscuro al segno dell’ombra dei personaggi, dal vigore cromatico al portento delle stoffe, degli abiti, delle corazze e della luce che le investe. Un artista di gran pregio, uno spettacolo incredibile cui si ha il dovere di assistere, morto a Conversano poiché stabilitosi, intorno al 1635, alle dipendenze del grande mecenate Giangirolamo II Acquaviva d’Aragona, conte.
Avrebbe potuto anche arrestare qui la sua sfida la città, ormai sicura di averci persuasi e invece, a partire dallo scorso ventisette luglio,si è altresì fatta ospite della mostra diffusa e permanente “Gli artisti con la valigia – pittori e scultori pugliesi itineranti da De Nittis ai giorni nostri”. Esposizione attraversante il centro storico di Conversano (distribuita secondo nuclei tematici in sette spazi ben curati) e gestita dalla locale “Galleria Cattedrale”, essa sottopone al pubblico circa cento opere di oltre quaranta artisti pugliesi, partendo dal fondatore della verista “Scuola di Resìna” Giuseppe de Nittis, quindi all’incirca dalla seconda metà dell’Ottocento, sino alla contemporaneità stricto sensu.
Tutto fiorisce e prende corpo nella memoria di Lucilla Tauro (titolare della “Galleria Cattedrale” nonché proprietaria della collezione), nel ricordo delle visite alla Pinacoteca Metropolitana di Bari durante le festività natalizie quando, accompagnata da suo nonno, quest’ultimo le raccontava le peripezie, le storie di questi «artisti con la valigia»: pugliesi di nascita con un amore sconfinato per l’arte e proprio per questo costretti ad abbandonare la “Amara terra mia”, avrebbe cantato Modugno, priva di istituti di formazione e troppo angusta per così alte e giovani aspirazioni artistiche. Eppure, indissolubile, resta e torna sempre il legame con le proprie radici, con tutto ciò che ti ha insegnato i primi colori, i primi indelebili volti, le danzanti linee del mondo, il sole abbacinante e l’ombra scurissima.
In collezione, come è chiaro, numerosissimi indirizzi artistici, le più disparate espressioni: a partire dall’arte povera di Pino Pascali, alla informale oltrepassata dello scultore Nicola Carrino, fra gli artisti contemporanei pugliesi più conosciuti; dal Chiarismo onirico, surreale, nebuloso di Fernando Troso a quel “Tramonto autunnale” del ’44 di Vincenzo Ciardo (di tocco postimpressionista di matrice tosiana, bonnardiana e cezanniana) in cui il paesaggio meridionale, così composto, desolato, cosparso di una luce crepuscolare, si fa voce, metafora di malinconia. E via continuando Emanuele Cavalli, esponente di spicco della famosa«Scuola Romana», l’espressionismo disarcionante e materico di Striccoli, fino a Domenico Cantatore (originario di Ruvo di Puglia e sodale del grande poeta tarantino Carrieri) ed alla sua politropia, evidente in collezione. Di quest’ultimo, ilpiccolo “Paesaggio” (metà anni Settanta) dalle tinte neoespressioniste sembra intercettare Emil Nolde o, ancor più specificatamente, il suo “Sole dei tropici” (1914) e rielaborarlo con note più assolate, potremmo dire più mediterranee.
Il “Ritratto di donna” (1940) è fra le opere più espressive ed impressionanti della collezione: il languido sguardo, le labbra pronunciate e quasi corrugate, l’ovale del viso inclinato e triste,il collo allungato a domandare. Erompe Modigliani da ogni dove, il ricordo di ciò che il pittore ruvese ha appreso a Parigi dal livornese maudit: dalla sagomatura alla «condotta pittorica scarna e complessivamente impostata sulle varianti tonali dell’ocra» (dal catalogo della mostra, per i tipi di “Sfera Edizioni”, 2022, pp. 106, euro 25); ma l’opera è un esercizio di stile che supera il suo scopo, conferendosi autonomia, anima.
Di tutt’altro registro artistico, le due vette cantatoriane in collezione: la “Donna lungo il muro” (1963) e l’ “Uomo del Sud” (1980 ca.), entrambe germoglianti all’interno dell’alveo della pittura neorealista meridionale, la quale trova il suo corrispettivo letterario nelle opere di Fiore, Levi e Scotellaro. La prima gioca con le tonalità del bianco, blu e nero, le nostre tonalità (il nero dei veli sui capi delle donne di un tempo, l’azzurro dei nostri mari, il bianco delle abitazioni e del solleone che picchia sui nostri cieli, inondandoci di luce), raffigurando una signora, una passante, su di un matericissimo muro calcinato. Il secondo potrebbe aver catturato proprio il profilo di uno dei “Contadini del Sud” che Scotellaro andava intervistando fra il 1950 e il 1953: lo sguardo stanco, disorientato, inconsapevole, le mani terrose e affaticate dicono della grande sensibilità del pittore, che pure aveva lasciato il Sud, nei confronti della «questione meridionale». Sembra chiederci qualcosa l’uomo dalla tela, quasi dirci quanto lavoro ci sia ancora da fare.
Che voi siate qui in vacanza, che vi siate per lavoro e o soprattutto se siete pugliesi, il centro storico di Conversano con tutte le sue bellezze, dalle esposizioni permanenti a quelle a tempo determinato, deve essere per voi tappa obbligata, un’imprescindibile «passeggiata» all’insegna del bello. L’auspicio, reiterato allo sfinimento, resta sempre quello:di una Puglia sempre più all’insegna delle arti, di un Sud sempre più presente, di un Meridione che formi e «trattenga» oltre ad intrattenere e senza più sperequazioni rispetto al Settentrione.