ALTAMURA - Un rivoluzionario risorgimentale disilluso e che punta a rifarsi una nuova vita all'estero viene convinto sua malgrado a partecipare ad una sghangherata spedizione per liberare un Meridione che non è ancora diventato Sud Italia. È la sottile traccia che da vita ad «Allonsanfàn» uno dei capolavori dei fratelli Taviani, con un Marcello Mastroianni in splendida forma nella parte del protagonista, l'aristocratico lombardo Fulvio Imbriani, un falso manipolatore ex giacobino e ufficiale napoleonico che alla fine perderà la vita per mano di soldati borbonici nell'unico slancio di autentica verità che lo riesce a conquistare.
Il film del 1974 fu girato un anno prima anche in ariosi esterni sullo sfondo di bellissimi paesaggi a cavallo tra Basilicata e Puglia. Alcune riprese si sono svolte a Matera, mentre altre nell’agro della Murgia, nei dintorni di Altamura. La scena finale dello scontro tra rivoluzionari e popolani è stata girata a Castel Del Monte, mentre le altre tra masserie e il Pulo di Altamura. Le immagini della Murgia si plasmavano perfettamente con la colonna sonora del maestro Ennio Morricone e nel ritmo si sentiva crescere tutto il furore rivoluzionario degli uomini in marcia.
La trama: negli anni della Restaurazione, dopo la caduta di Napoleone del 1816. Mentre in Europa i re tornano sui loro troni, l’aristocratico lombardo Fulvio Imbriani, ex giacobino e ufficiale di Bonaparte, viene rilasciato dopo una lunga prigionia nelle carceri austriache in quanto membro della setta dei Fratelli Sublimi. Dopo vent’anni torna così a rifugiarsi nella villa di famiglia, ammalato e mascherato, per trovarsi a riscoprire il piacere di vivere e l’amore del piccolo figlio. Raggiunto dalla sua donna, Charlotte (Lea Massari), viene convinto a partecipare insieme con gli ex-compagni di lotta a una spedizione rivoluzionaria nel Meridione. In realtà, Fulvio considera l’impresa fallimentare e non impedisce a sua sorella Esther (Laura Betti) di denunciare i congiurati; tutto questo però non impedirà che anch’egli sia travolto con loro nella suicida spedizione al Sud. Solo il giovane idealista, Allonsanfàn, sopravvive fisicamente e come simbolo di fiducia nella rivoluzione.
Nel film si porta avanti uno dei temi portanti del cinema dei fratelli Taviani: la dedizione assoluta all’utopia, nel sogno di un cambiamento e dell’avvento di nuove età di maggiore eguaglianza sociale. Nella figura del giovane rivoluzionario soprannominato Allosanfan, il cui nome riecheggia l’inizio della Marsigliese richiamando il senso di un appassionato slancio contro le ingiustizie, i registi esprimono proprio questa spinta utopica verso il futuro: un mondo che al momento appare confuso e sfuggente, come è il racconto di Allosanfan fatto nel delirio di una vittoria soltanto immaginata, ma che già nella camicia rossa del protagonista preconizza il successo della spedizione dei Mille di Garibaldi e l’affermazione del movimento socialista di fine Ottocento.
«Ricordo paesaggi incredibili in una murgia brulla e intatta che riproduceva veramente il senso di abbandono di un Sud assolato e pietroso - ricorda Paolo Taviani – fu la prima volta che ho potuto ammirare il falco grillaio con voli arditi e picchiate verso terra per riuscire a catturare la preda».
Il Marcello nazionale invece non era la prima volta che girava nel Barese. Già nel 1965 in «Casanova '70» diretto da Mario Monicelli, si muove tra Conversano, Turi, Alberobello e Locorotondo.