TARANTO - Operai col fiato sospeso. In attesa che l’azienda scopra le carte. Se l’acciaio non si vende l’Ilva resta fuori mercato. La conseguenza immediata potrebbe essere il ricorso immediato alla cassa integrazione per 7-8mila lavoratori (su un totale di 12mila dipendenti diretti). Il governo media e cerca una nuova via d’uscita non potendo più fare affidamento sullo strumento del decreto (convertito in legge), già impugnato perché ritenuto anticostituzionale.
Lo stabilimento di Taranto, grazie alla contestata legge n. 231, può continuare a produrre nonostante i sequestri scaturiti dall’inchiesta per disastro ambientale, ma la merce in giacenza (un milione e 700mila tonnellate di coils e bramme) al momento non si tocca. Quanto vale l’acciaio accatastato sulle banchine? Per l’azienda un miliardo di euro. Ma anche questo è un aspetto da chiarire. Il ministro dell’Ambiente Corrado Clini, intervistato per la trasmissione Presadiretta (in onda stasera su Rai Tre), ha rivolto un «grazie» alla magistratura di Taranto «che ha fatto un lavoro di supplenza incredibile rispetto alle amministrazioni pubbliche».
I dati delle centraline esterne, ha aggiunto, «mettono in evidenza che la situazione è progressivamente migliorata. In parte perché le misure imposte dalla magistratura, come la riduzione della produzione, hanno determinato già un primo effetto. Ma anche gli interventi sui parchi minerali sono importanti». Il ministro ha ammorbidito, rispetto al recente passato, i toni nei confronti dei magistrati, che pure hanno bocciato in maniera sonora il decreto definito «salva-Ilva».
Secondo Clini il risanamento dell’Ilva può e deve essere attuato nel rispetto delle prescrizioni Aia. «Quello che penso io - ha osservato - è che il risanamento di questo stabilimento può avvenire in 36 mesi».
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