Non bastano le coperture dei parchi minerali a impedire che le polveri dell’ex Ilva si abbattano sulle case del rione Tamburi di Taranto: gli abitanti del rione all’ombra delle ciminiere sono ancora prigionieri. Ne è convinta la procura di Taranto che ha chiuso l’indagine che vede coinvolti due ex direttori della fabbrica. Si tratta di Loris Pascucci che ha guidato l’impianto durante la gestione Arcelor Mittal, e di Vincenzo Dimastromatteo che ha preso il suo posto a partire dal 26 aprile 2021. L’inchiesta, condotta dal sostituto procuratore Filomena Di Tursi, contesta i reati di getto pericoloso di cose e inquinamento ambientale, ma sono soprattutto le date a dare particolare importanza alla vicenda: le contestazioni ai due imputati vanno infatti dal 4 luglio 2020 «in poi». Insomma da quel giorno in cui una tromba d’aria generò una tempesta di polveri sulle abitazioni lo spolverio è proseguito e prosegue evidentemente ancora oggi.
A chiarirlo è stata infatti una relazione di Arpa Puglia che, su richiesta del pubblico ministero, ha spiegato innanzitutto che la nube polverosa del 4 luglio 2020 ha sollevato una «macroscopica quantità di polveri» dalla fabbrica che ha determinato «lo sporcamento delle aree prossime allo stabilimento»: quei cumuli sono composti principalmente da ferro, carbonio e altri metalli come calcio, silicio, magnesio alluminio, ma non mancano tracce di manganese, cromo e vanadio: insomma tipiche, secondo l’Agenzia Regionale di protezione ambientale «delle lavorazioni siderurgiche». Ma c’è di più. Sulle polveri che quotidianamente si depositano sulle case del quartiere Tamburi, l’agenzia ha spiegato che monitora da anni la composizione chimica e le analisi effettuate hanno dimostrato che «sono compatibili» con i «processi della lavorazione siderurgica di minerali e fossili». Insomma quelle polveri arrivano dall’ex Ilva: anche le inchieste e le analisi scientifiche, quindi, confermano quello che i tarantini continuano a lamentare e cioè che la copertura dei parchi, costata circa 300 milioni di euro, non ha eliminato il fenomeno che ammorba il quartiere vicino allo stabilimento. Sotto accusa, come detto, sono finiti i due direttori, assistiti dagli avvocati Daniele Ripamonti, Roberto Di Marzio e Vincenzo Vozza, che ora rischiano di finire a processo: sarà il giudice Giovanni Caroli a celebrare l’udienza preliminare e decidere se rinviarli o meno a giudizio.
La vicenda è partita da un esposto presentato dall’associazione Giustizia per Taranto nel 2020 con il quale veniva documentato proprio come, nonostante la copertura dei parchi minerali dell'ex Ilva, i balconi e le case del rione vicino alla fabbrica continuavano a essere invase dalle polveri. L’atto firmato da due abitanti del quartiere e dal presidente di Giustizia per Taranto, Massimo Ruggieri, riguardava la situazione tra l’estate 2020 e i primi mesi del 2021, quando lo stabilimento era finito nelle mani di Arcelor Mittal. Il 4 luglio 2020, come detto, un’incredibile tempesta di polveri fu filmata mentre si abbatteva, sospinta da forti venti, sulle case del quartiere, ma all’esposto il legale di Giustizia per Taranto, l’avvocato Leonardo La Porta, ha allegato foto e video del materiale che quotidianamente i suoi assistiti ritrovavano sul balcone e in alcune zone dell’abitazione. Inizialmente il pm Di Tursi aveva chiesto l’archiviazione, ma l’associazione si è opposta chiedendo nuove indagini che il gip Gianna Martino ha concesso spingendo ora la procura a chiedere un processo che dovrà fare luce sulla vicenda.