BARI - «Ormai si ragiona ovunque in termini di 4.0. E allora perché non allargare il concetto anche a un bene primario come l’acqua?». Guarda al presente ma anche e soprattutto al futuro Domenico Laforgia, presidente di Acquedotto Pugliese e già rettore dell’Università del Salento, nonché ex capo del Dipartimento Sviluppo Economico della Regione Puglia. «Acquedotto - spiega - è un’azienda sana ma soprattutto è pubblica e tale bisogna che rimanga, nonostante il pregiudizio che vuole sempre in disarmo tutto ciò che è pubblico. Siamo qui per smentire questa falsità»
Presidente Laforgia, in che direzione si muovono gli sforzi di Aqp in questa fase?
«Stiamo scrivendo le ultime battute del piano strategico e di quello industriale per costruire una visione, definire cosa Aqp vuol diventare».
Se guarda avanti cosa vede?
«Una multiutility con un asset di partenza, cioè la concessione per il servizio idrico pugliese, da migliorare in ogni direzione. È chiaro che, in questa fase, il Pnrr è il vero volano che ci permette di anticipare risorse che diversamente potremmo recuperare molto più lentamente dalle tariffe o dagli interventi della Regione Puglia attraverso il piano operativo regionale. L’Autorità idrica pugliese ha comunque pianificato investimenti di 7 miliardi fino al 2045 ma ora si possono accorciare i tempi. C’è molto da fare a cominciare da un puntuale monitoraggio delle perdite e dall’installazione dei contatori elettrici prima presso i grossi utenti, poi nelle case di tutti. Quando parlo di Aqp 4.0 mi riferisco a questo».
Il nodo centrale resta, da anni, la quantità di acqua disponibile. Come procede la ricerca di nuove fonti?
«Di base l’acqua migliore è sempre quella che non si disperde. Quindi frenare le perdite è il primo passaggio da realizzare innanzitutto con interventi sulle reti vecchie di oltre cento anni. Poi, ovviamente, guardiamo ad altre soluzioni: Abruzzo e, soprattutto, Molise dove ci sono corsi d’acqua non utilizzati e anche l’Albania. Ci muoviamo ad ampio raggio. E ancora, il grande tema della dissalazione».
Se ne parla da anni. Utopia o realtà?
«Oggi realtà, senza dubbio, grazie ai balzi in avanti della tecnologia. Israele ne ha fatto il proprio punto di forza. E noi nelle Isole Tremiti stiamo realizzando un dissalatore per renderle autonome anche durante il picco estivo. Un investimento da 90 milioni è programmato su Taranto. Un altro è previsto a Brindisi. Siamo in marcia».
Quanto pesa il nodo degli invasi in Basilicata?
«Noi stiamo accusando il problema ma stiamo anche cercando di risolverlo. In realtà gli invasi non appartengono a nessuno se non a un ente commissariato da 25 anni che, non avendo i mezzi per affrontare la piena manutenzione, garantisce la sicurezza lavorando a metà livello. Quindi, sono gestiti sotto la capacità reale, disperdendo acqua. E questo non possiamo permettercelo».
Capitolo caro-bollette. Aqp è una società ad alto consumo energetico e allora la domanda è scontata: c’è il rischio che i rincari si abbattano sui cittadini?
«Il Governo ha messo in campo degli interventi straordinari che tutelano proprio i consumatori. E quindi non andremo a gravare su di loro. Anche perché gli effetti di incremento vengono gestiti dall’Arera, l’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente, che lavora per rinviare l’impatto dei rincari di un anno o due. Non ci sono rischi, quindi».
E nel lungo periodo?
«Il boom dei prezzi è in realtà una bolla speculativa dovuta a qualcuno che vuole piegare la volontà degli europei facendo leva sul prezzo del gas. Speriamo l’emergenza possa rientrare rapidamente. Diversamente, stiamo mettendo a punto un piano di investimento sulle rinnovabili che ci permetterà una totale autonomia sul piano energetico».
Un obiettivo realizzabile entro quando?
«Tre o quattro anni al massimo. Bisognerà avviare delle interlocuzioni a livello nazionale con i partner finanziari cioè banche o Cassa depositi e prestiti, ma c’è già un gruppo di persone che sta lavorando a questo progetto. L’idea è produrre energia e consumarla in loco abbattendo i costi di acquisto e trasporto, nonché le relative tasse. È un progetto ambizioso da varare comunque, anche se l’emergenza dovesse rientrare».
Ormai il tema energetico dilaga nel dibattito. Da ex capo Dipartimento dello Sviluppo Economico regionale, come giudica le mosse del governo pugliese?
«In Puglia attraversiamo un momento di confusione. La sindrome di Ninby, cioè le proteste delle comunità locali contro la realizzazione di opere pubbliche, ha fatto danni terribili. La gente non ha capito bene ciò che stava accadendo».
Lei si espresse fin da subito a favore della Tap. Una scelta non indolore...
«Gli amministratori dei territori da cui sarebbe passata chiesero subito le mie dimissioni. Ma avevo ragione io. L’impatto è veramente limitato. E lo stesso discorso vale anche per l’altra linea, il Poseidon. La verità è che la Puglia è una regione strategica ma non solo per il gas. Siamo leader nel fotovoltaico e nell’eolico. L’off-shore, ad esempio, è una carta vincente: impianti a 10 miglia dalla costa che rilevano come un rialzo di due millimetri su un foglio A4. Ora non resta che riconquistare la fiducia di chi investe, spiegando alla gente l’importanza dei progetti e convincendo chi mette i soldi a rimanere qui».
Si parla tanto di decarbonizzazione ma non basta cancellare le centrali con un colpo di penna. Cosa bisogna fare?
«La centrale di Cerano, a Brindisi, in via di dismissione, ha un gruppo fermo e un altro atteso a breve dallo stesso destino. Al momento la produzione si attesta sui mille megawatt (mw)».
E questi mille con cosa si possono sostituire?
«Con almeno 5mila provenienti dalle rinnovabili».
Perché questo rapporto di uno a cinque?
«Per una ragione piuttosto naturale. Le rinnovabili hanno una forte instabilità di produzione. Se è notte o il cielo è nuvoloso il solare non lavora o lavora poco. Allo stesso modo, se non c’è vento l’eolico è fermo. Dunque, non solo serve una produzione alta ma ci vuole anche una rete intelligente capace di raccogliere energia quando c’è la possibilità e poi di stoccarla in modo da poterla utilizzare quando serve. Il sistema è complesso».
Alziamo la posta: se volessimo decarbonizzare l’Ilva?
«Allora avremmo bisogno di 20mila mw per l’idrogeno che può servire agli impianti di produzione».
Alla fine, numeri a parte, la lezione qual è?
«La Puglia ha pagato un prezzo altissimo per mancanza di energia elettrica. Dal 1915 al 1950 non avevamo acqua e soprattutto non avevamo quegli impianti idraulici che invece hanno fatto crescere il resto del Paese. All’epoca tutto si faceva con l’idraulico e Noi pagammo dazio. Oggi che c’è una importante industria manifatturiera non possiamo riportare indietro le lancette dell’orologio».
Quelle lancette chi potrebbe spostarle?
«La sindrome di Nimby, come dicevo prima, che si genera dalla pura ignoranza. Ma anche un ritorno del campanilismo. Noi prendiamo acqua da regioni, come Basilicata e Campania, a cui diamo energia. È uno scambio che avvantaggia tutti. Ma se iniziamo a dire “non ti do l’acqua perché è mia” o “non ti do energia perché è mia” allora cadiamo nel precipizio».
A salvarci dal precipizio - è opinione comune - arriva il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Preoccupato per le difficoltà che tanti territori del Sud stanno incontrando nell’accesso ai fondi?
«Mi ritengo molto fortunato ad essere pugliese perché la nostra Regione è capofila nella spesa dei fondi. Aqp, in particolare, grazie ai conti in ordine e alla crescente capacitò di rendicontazione, può chiedere le risorse con serenità. Anzi, siamo sollecitati a farlo».
Su cosa investirete?
«Risanamento delle reti, impianti di depurazione, raffinamento dell’acqua, produzione del biogas. Progetti importanti per una richiesta complessiva fra gli 800 e i 900 milioni. Stiamo mettendo in campo tutta la capacità progettuale possibile».
Rimane il problema delle difficoltà incontrate da altri territori e da altre realtà. Da ex rettore, che ruolo può giocare l’Università in questa partita?
«Quando ho fatto il rettore, insieme ad altri, ci siamo inventati la “terza missione”, cioè il trasferimento di conoscenze attraverso l’interazione diretta con imprenditori e territori. Una prassi virtuosa che non nasce a Roma o al Nord, ma qui. E questo perché il territorio, in via di sviluppo, chiedeva supporto, progettualità non standard. Aqp, in particolare, nasce in simbiosi con ingegneria idraulica a Bari. Un raccordo di quasi ottant’anni. L’università è sempre un promotore di sviluppo. Ma sa qual è il problema?»
Prego.
«Fino al 1861 si andava a Napoli o Catania. In Puglia non c’era niente e lo sviluppo ne risentiva. Ecco perché non bisogna toccare le Università del Sud e dismettere quella logica che ha imperato negli ultimi anni: dare di più a chi ha già di più, cioè agli atenei del Nord. Una sorta di Robin Hood al contrario. Questo è solo un gioco a farsi del male».
Nasce il nuovo media di Aqp
«I media tradizionali sono orientati verso un certo tipo di notizia, trascurando spesso quelle più settoriale o i percorsi di informazione rivolti alle scuole. Per questo, in riferimento a ciò che ci compete, abbiamo deciso di lanciarci in questa avventura». Domenico Laforgia, presidente di Acquedotto Pugliese, saluta così la nascita della WebTv TVA, dedicata all’approfondimento tematico su innovazione, sostenibilità e ambiente. «L’idea - conclude Laforgia - è quella di occuparci non solo di acqua ma di tutti quei nodi che sono essenziali per lo sviluppo del territorio. Si tratta di attivare un dialogo con i cittadini».