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Coronavirus, parla lo scienziato barese «Così abbiamo scoperto il vaccino»
Gambotto dagli Usa: ci vorrà un anno, poi sarà come l'influenza

 
Nicola Pepe

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Nicola Pepe

Il Rettore Bronzini: Le istituzioni non investono a sufficienza nella ricerca. Il ricordo di Gesualdo: quando eravamo insieme a Pittsburgh girava con "la scatola dei sogni" in cui portava i virus. 

Venerdì 03 Aprile 2020, 15:41

20:56

BARI - Lui lo definisce un vaccino abbastanza semplice, che hanno realizzato nel giro di 18 giorni, dal 21 gennaio all'8 febbraio quando hanno iniziato la fase di test sui topi. Andrea Gambotto, barese, laureato all'Università di Bari, associato al dipartimento di Surgery dell'Università di Pittsburgh, è uno dei membri del team di ricerca dell'Università americana che ha realizzato il cosiddetto vaccino-cerotto contro il Coronavirus. Lo abbiamo intervistato insieme al rettore dell'Università di Bari, Stefano Bronzini, che è stato suo compagno di liceo allo Scacchi, e insieme al prof. Tino Gesualdo, preside della facoltà di Medicina di Bari che con Gambotto ha lavorato insieme tre anni proprio a Pittsburgh. Dopo la laurea in Medicina, Gambetto è volato negli Usa dove vive e lavora lì da tantissimi anni.

Come siete arrivati a questo risultato? «Lavoriamo da un po' di anni su questo tipo di vaccini e grazie alle tecnologie che abbiamo a disposizione siamo riusciti a metterla a punto in breve tempo. Questo tipo di malattia pandemica aveva bisogno di essere sperimentata velocemente e prodotta in grandi dosi. Con il team abbiamo isolato il virus utilizzando un pezzo di proteina del Covid 19 che si chiama Spike. Attraverso questo meccanismo se blocchi la chiave d'accesso, il virus non può più entrare nella cellula, e così le persone vaccinate possono sviluppare gli anticorpi». «Diventerebbe quindi come un banale vaccino anti influenzale - spiega Gambotto - noi istruiamo il sistema immunitario per creare degli anticorpi contro questa chiave che ti permettono di essere protetto e di avere un decorso dall'infezione più blando».

«Stavamo lavorando su vaccini della Mers - ricorda - che stavamo testando sui cammelli in Arabia Sudita, l'approccio è simile: abbiamo cambiato la sequenza e la ricerca è stata pubblicata il 21 di gennaio. Già l'8 di febbraio avevamo questo vaccino in mano, così abbiamo fatto partire i test sugli animali, i topi in questo caso, in modo tale che ci desse una risposta anticorpale. I risultati di ieri sono a 6 settimane e ci dicono che la risposta immunitaria è quella che ci aspettavamo, perciò siamo abbastanza ottimisti sulla qualità del risultato. Promette bene insomma».

I TEMPI - Indubbiamente c'è grande attesa da parte di tutto e la gente si chiede: quando sarà pronto e disponibile il vaccino? Sulle tempistiche il prof. Gambotto spiega: «Rapidamente significa che non avendo una industria farmaceutica sono leggermente al di sotto delle aspettative, il nostro è uno sforzo accademico, poi se il vaccino diventa commerciale è compito dell'industria farmaceutica che lo porta nel pubblico, renderlo "virale". Con questa malattia è tutto cambiato l'Fda richiede almeno 2-3 anni per la messa in commercio, ma in questo caso c'è un programma accelerato per la produzione. Non sarà al 100% accettabile per gli standard soliti dei vaccini, ma è talmente comune che la produzione non dovrebbe essere differente da quella dei vaccini contro l'epatite o l'influenza».

«In America c'è la corsa per trovare delle cure - prosegue Gambotto - nel giro di uno o due mesi inizieremo la sperimentazione clinica sugli umani. In questo caso dopo 8-10 settimane passiamo agli animali e dopo 2-3 settimane, una volta sviluppati gli anticorpi neutralizzanti, nelle successive 4-6 settimane gli anticorpi diventano efficaci».

I MORTI ITALIANI - Sull'eccessivo tasso di letalità in Italia, Gambotto spiega: «ci sono due fattori da tenere in considerazione ad oggi ci sono in Italia 115mila persone infette ce ne saranno 10 volte tante le persone veramente infette, quindi siamo intorno all'1,5%. Ciò che succede in Lombardia è simile a un imbuto: troppi casi nello stesso momento, così la struttura non ha retto. I numeri non funzionavano già da prima: 10 pazienti per un solo rianimatore. L'effetto è un po' come accadde per lo stadio Heysel, non ha retto ed è crollato. Geneticamente parlando il virus è lo stesso, la situazione si sta aggravando in Spagna e in Usa come a Whuan, perciò l'aumento dei casi comporta l'aumento della mortalità. Nella fase acuta, quando non ci sono letti e il giusto rapporto tra rianimatori per paziente, si crea un cortocircuito».

IL VIRUS E I CONDOTTI DI ARIA - «Questo virus, al contrario di ciò che si dice - sottolinea il ricercatore - resiste nell'aria. Dipende quindi da com'è la situazione in un reparto con dieci affetti da Covid 19, l'aria diventa pesante. Perchè il virus resiste due tre ore sospeso nell'aria e per contenerlo sono essenziali i sistemi di areazione. Il problema non è solo debellarlo, il virus può essere distribuito in tutto l'ospedale se passa in un condotto d'aria, così diventano tutti potenzialmente infetti. Con la Mers nel 2014 è successa una cosa simile in un ospedale in Corea dove c'era un cluster. Trovato il modo di isolare l'infettività del virus le cose si potrebbero sistemare».

IL VACCINO - «La nostra ricerca - spiega Gambotto - inizierà un iter che porterà alla sperimentazione umana, serviranno max 4 settimane per vedere i risultati. Quando questo vaccino rileverà la sua efficacia e quando sarà distribuito? Nelle più rosee delle previsioni? Non sarà mai pronto per i prossimi 6-8 mesi, dobbiamo sperare che la pandemia cali l'incidenza. Al massimo sarà disponibile in un anno, ma se questo vaccino funziona il Covid. 

IL RICORDO DI GESUALDO - Il prof. Gesualdo ricorda pezzi di vita vissuti con Gambotto: «a Pittsburgh, nel 1997 siamo stati insieme lì, mi ha accolto come un fratello. Andrea si è sempre occupato di terapia genica e quando veniva a trovarci nei laboratori era il nostro carrier, che portava con sé una scatola con tante piccole provette e lui ci diceva: «Qui dentro vi porto sogni». Mentre parla Gambotto mostra la laurea conseguita all'Università di Bari, firmata dal rettore Aldo Cossu. 

LE PAROLE DEL RETTORE BRONZINI - Ma se Gambotto fosse rimasto in Italia, avrebbe ottenuto questo successo? Alla domanda sui cervelli in fuga il magnifico rettore ha così replicato: «Il problema non è chi se ne va, ma perché se ne vanno. All'estero i nostri studenti hanno maggiori possibilità, non so se qui Andrea avrebbe avuto la stessa struttura a sostegno della sua ricerca. Questo non è un problema Covid, ma un problema sociale e produttivo tutto italiano che non va. La laurea inizia a servire, e che abbia i colori sociali baresi è un surplus. Le istituzioni non investono a sufficienza nella ricerca. E si sa la ricerca è un investimento a tempo perduto. Quello di Andrea è un esempio virtuoso, ma il Paese si deve svegliare.

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