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La musica di Lazzaro, tra matematica e Joe Cocker: «Torno a suonare nella mia Vico»

 
Bianca Chiriatti

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Bianca Chiriatti

Il 30 dicembre appuntamento all'anfiteatro Hintermann del comune foggiano, con la presentazione del disco «È ora di andare»

Domenica 17 Dicembre 2023, 09:00

Ingegnere, docente, pianista e cantante. Sono tutte le «personalità» di Lazzaro, nome d'arte di Leonardo Angelicchio, nato e cresciuto a Vico del Gargano (Fg) e in giro per l'Italia per presentare l'album di esordio «È ora di andare». Un disco che sta conquistando pareri positivi di critica e pubblico e che arriva finalmente in Puglia, il 30 dicembre, proprio a Vico, all'Anfiteatro Hintermann, concerto attesissimo per raccontare le confessioni di Lazzaro, tra intimità e parole urlate al vento. Un lavoro, uscito per Solid Records/Believe, prodotto dall'arrangiatore e sound designer Taketo Gohara (Brunori SAS, Elisa, Motta), che porta con sé atmosfere di Joe Cocker, Elton John e Lucio Dalla, fondendole con soluzioni più moderne. La «Gazzetta» ha intercettato il cantautore per scoprire qualche retroscena del concerto pugliese.

Come si sente a suonare nella sua terra?
«Sono molto felice, dopo una vita di musica mi esibisco davanti alla mia gente, nell'anfiteatro della mia città. È come la chiusura di un cerchio dal punto di vista artistico. Ci saranno i miei amici, passati e attuali, con cui ho uno splendido legame e che sono ancora i miei primi sostenitori. Una persona qualche giorno fa mi ha detto che sta aspettando le vacanze di Natale per il mio concerto: è una bella responsabilità».

Anche dai suoi social si percepisce che il pubblico la segue con affetto: quando si è reso conto che quello che scriveva arrivava all'esterno?
«Devo dire che durante la presentazione del disco a Milano mi sono preso una "licenza", ho cantato un brano fuori programma, perché ho percepito l'aria giusta, e sono rimasto colpito dalla reazione del pubblico, che mi ha inondato, ha cominciato a cantare le strofe a memoria. Quando senti questo, capisci che la fatica fatta finora è valsa la pena. E poi la più grande soddisfazione è sentire le persone che si rispecchiano nei brani, si ritrovano».

Come ha iniziato a cantare?
«Con una folgorazione. Avevo sette anni, e al matrimonio di mia cugina sono rimasto stregato dal complesso che suonava. Innamorato, ero un bambino e quel giorno mi ha stravolto. Da lì non ho più smesso, e ho affiancato anche lo strumento, che dovrebbe essere fondamentale per fare questo mestiere, come l'alfabeto. Poi al liceo sono arrivate le prime band, suonavamo con le basi midi insieme agli amici del paese, si creò un bellissimo giro. E ancora oggi mi piace circondarmi di persone con cui collaborare: si creano sinergie incredibili, oltre che amicizie per la vita».

Invece i suoi ascolti su cosa erano orientati?
«Mio zio, mi piace raccontarlo, mi ha rovinato la vita, perché mi ha fatto scoprire i New Trolls, di cui era fan accanito. Gli dedico tutto quello che faccio. Poi mi sono avvicinato anche a Led Zeppelin, Pink Floyd, al soul britannico, anche quello black, e tanti italiani, tra cui Zucchero. Ah, e devo dire grazie anche al mio professore di musica delle scuole medie: mi ha fatto conoscere i Beatles».

Lei è stato l'opening act dell'unica data italiana di Eagle-Eye Cherry: ha avuto modo di incontrarlo?
«Ci siamo salutati velocemente nei camerini dopo il suo concerto. Una persona disponibilissima, mi ha accolto con un grande sorriso facendomi i complimenti per la mia musica. È stato bello perché fino a quel momento eravamo usciti con qualche singolo e avevamo aperto il live dei Bud Spencer Blues Explosion, ma è stata un'occasione davvero grande».

E invece l'incontro con Taketo Gohara?
«La svolta totale. Io e Antonio (Montecucco, discografico nonché bassista del progetto) l'avevamo messo in cima alla lista di persone con cui avremmo voluto collaborare. Quando ha accettato mi ha detto: "Devi cantare come Joe Cocker". E mi sono ricordato che da ragazzino, in un periodo in cui avevo smesso di cantare perché mi avevano detto che la mia voce non era un granché, mio padre, sostenitore ma non così appassionato né esperto di musica, mi aveva detto la stessa cosa, "Tu devi cantare come Joe Cocker". L'ho preso come un segnale, un cerchio che si chiude. Taketo mi ha rivoltato come un calzino, ma da lì è cambiato tutto».

Nel mentre insegna a scuola, matematica e informatica, i suoi studenti ascoltano quello che canta?
«Accanto ai vari Geolier e neomelodici, c'è spazio anche per la mia musica. Poi ora si è sparsa la voce, qualcuno mi ha fatto i complimenti, ed è bello perché le generazioni più giovani sono le più difficili da conquistare».

L'album si chiama «È ora di andare»: adesso per lei è ora di...?
«Continuare ad andare. Nel 2024 c'è tanta carne al fuoco: l'11 marzo ci esibiremo di nuovo a Milano, all'Arci Bellezza, per il resto si continua a costruire tante cose nuove».

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