Un danno da 30milioni di euro l’anno, che sale a 200milioni se si considera l’intero territorio nazionale. È questa la stima di Coldiretti, relativa alla fauna selvatica killer.
I cinghiali distruggono le coltivazioni e gli allevamenti, fanno lo stesso anche i lupi e i cani inselvatichiti, gli storni azzerano la produzione di olive, le lepri divorano letteralmente interi campi di ortaggi, i cormorani mangiano i pesci negli impianti di acquacoltura, i pappagalli verdi si cibano di frutta e mandorle. Siamo andati nelle campagne della bassa Murgia barese, in una zona dove le ciliegie in questo periodo sono nel pieno della loro produzione, ma con un territorio che si spinge più a sud, nel tarantino, dove tra qualche mese gli agrumi torneranno protagonisti. Qui è saltata la catena alimentare - sostengono gli agricoltori - perché le politiche di tutela e riproduzione di alcune specie hanno portato oggi a numeri fuori controllo. In natura funziona così: è una «guerra» tra antagonisti, ogni animale ne ha uno.
Il cinghiale si riproduce con una estrema facilità, lo ha fatto in questi anni partendo dalle aree del Gargano e del subappennino dauno, arrivando a popolare ogni zona della Puglia e riuscendo a maturare una singolare capacità fisica, con stazze che arrivano talvolta anche a superare i 120 kg. Il lupo è il suo principale antagonista, ma mai si sognerebbe di attaccare un animale così tanto più forte di lui. E così preferisce delle prede più facili, devasta i pascoli delle pecore e invade gli allevamenti degli asini, vittime decisamente più alla sua portata.
Nel parco delle Gravine la fauna selvatica si riproduce in maniera incontrollata, in un territorio in cui servirebbero politiche mirate. Si attende ancora la costituzione del consorzio per la sua gestione, che dovrà mettere insieme numerosi Comuni, tra cui Martina Franca, Castellaneta, Crispiano, Ginosa, Grottaglie, Laterza, Massafra, Montemesola, Mottola, Palagianello, Palagiano, San Marzano di San Giuseppe, Statte e Villa Castelli. Per l’assessore all’agricoltura, Donato Pentassuglia, tutte le forme previste dalla legge sono state messe in campo: «la Puglia è stata la prima regione a fare un primo Piano, poi lo abbiamo adeguato e abbiamo introdotto il selecontrollo. Il tema vero - dice Pentassuglia - che viene sottovalutato e su cui rimango inascoltato, è il fatto che i cinghiali vanno a dormire, e quindi stazionano, nelle aree naturali e nei boschi delle aree protette, dove non è possibile mettere gabbie, non è possibile fare cattura, se non con Piani di gestione». Un problema che riguarda tanto quello della Terra delle gravine, come anche il Parco dell’Alta Murgia, nella zona di Altamura. I danni causati dagli animali selvatici non vengono rimborsati che in minima parte e spesso dopo molti anni, con una situazione che ha portato molti a rinunciare alla denuncia degli attacchi subiti. Tra l’altro, i pochi indennizzi che arrivano non coprono mai il reale valore del prodotto distrutto o dell’animale ucciso. Per fare un esempio, un produttore di vino pregiato che ha avuto la vigna devastata da cinghiali si vedrà risarcire solo il semplice valore dell’uva. Ai danni alle coltivazioni si è aggiunto l’allarme della peste suina africana, la malattia non trasmissibile all’uomo che i 2,3 milioni di cinghiali oggi presenti sul territorio nazionale rischiano di diffondere nelle campagne, mettendo in pericolo gli allevamenti suinicoli e, con essi, un settore che tra produzione e indotto vale circa 20 miliardi di euro.