TARANTO -Tre persone in carcere e due agli arresti domiciliari: sono solo alcune delle misure cautelari a cui ha dato esecuzione la Squadra mobile di Taranto, diretta dal vice questore Luigi Vessio, all’alba di oggi per 7 persone (di cui 3 tarantini e 4 cittadini georgiani) finiti nell’inchiesta su una presunta associazione a delinquere che sotto le mentite spoglie di un’associazione di promozione sociale con sede nel centro cittadino, aveva reperito extracomunitarie irregolari per fornire manodopera di badanti a clienti «idonei», trattenendo una quota dallo stipendio e chiedendo un compenso anche per il servizio di intermediazione. Non solo. Le lavoratrici errano infatti costrette a lavorare oltre le 54 ore settimanali e senza percepire alcun contributi assistenziale e previdenziale.
Un gruppo che aveva messo in piedi una vera e propria agenzia di collocamento che, come si legge dalle carte dell’inchiesta, reclutava donne di nazionalità straniera e senza permesso di soggiorno che avevano bisogno di lavoro. Un’organizzazione che avrebbe curato ogni aspetto della trattativa e del rapporto di impiego: dal reperimento delle risorse, all’individuazione dei clienti interessati, agli incontri preliminari. Fino alla redazione dell’accordo economico tra associazione e datore di lavoro dove l’organizzazione «si impegnava a fornire servizi di assistenza h24, si stabilivano orari di lavoro, retribuzione mensile» e «riscuotendo direttamente dalle famiglie il compenso pattuito delle lavoratrici dopo aver trattenuto una quota sulla retribuzione pari a 150 euro mensili».
Le indagini sono partite dalla denuncia di un furto in casa di una signora anziana alle cui dipendenze lavorava una badante extracomunitaria. Da quella prima segnalazione, le investigazioni avevano permesso di ricostruire l’organigramma del gruppo criminale: a capo del business, secondo gli inquirenti, c’era la rappresentante legale dell’associazione Caterina Daniele, tarantina di 61 anni finita in carcere che, per la procura, aveva utilizzato gli uffici per «procacciare e reclutare numerose cittadine georgiane». L’associazione a delinquere è contestata anche al 59enne Angelo Micoli e al 26enne Walter Micoli, entrambi finiti ai domiciliari: in particolare, il 59enne aveva incassato gli stipendi dalle famiglie per distribuirli alle lavoratrici «dopo aver trattenuto una quota», mentre il 26enne aveva accompagnato agli incontri con i potenziali interessati la 61enne e aveva «partecipato attivamente alle trattative rassicurando delle vantaggiose condizioni praticate».
In carcere sono finite poi altre due donne, entrambe di nazionalità georgiana. Secondo gli inquirenti, infatti, la 36enne Eter Merebashvili e la 47enne Nana Chikovani erano, assieme alla Daniele, le «organizzatrici dell’attività dell’associazione», fornendo gli alloggi alle aspiranti lavoratrici in attesa di essere «smistate presso varie famiglie richiedenti, percependo e pretendendo il compenso di 7 euro al giorno» e facendosi dare dai 300 ai 400 euro «a titolo di compenso per la sistemazione lavorativa reperita».
Alla 53enne Lela Adamia e alla 59enne Nestan Kobuladze, il gip Francesco Maccagnano, che ha firmato l’ordinanza cautelare su richiesta del pm Remo Epifani, ha imposto il divieto di dimora e avvicinamento al capoluogo ionico: entrambe originarie della Georgia, sono accusate di aver «sporadicamente» trovato lavoratrici per la 61enne.
Tutti gli indagati, difesi dagli avvocati Alessandro Scapati e Serena Micoli, devono inoltre rispondere della violazione delle norme in materia di immigrazione e di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro.