TARANTO - Comincerà a novembre l’udienza preliminare nei confronti del 42enne Massimiliano Papari e del 27enne Angelo D’Angela entrambi in carcere con l’accusa di omicidio del padre di quest’ultimo, che aprì il fuoco colpendo il genitore per errore, l’agricoltore 59enne Antonio D’Angela, morto lo scorso 8 dicembre a San Marzano a causa di una emorragia. Il pm Francesco Ciardo ha infatti chiesto il rinvio a giudizio per entrambi contestando il reato di omicidio volontario anche se, come detto, la morte è avvenuta per errore durante una rissa che vedeva da un lato la vittima, il figlio Angelo e Papari e dall’altro Cosimo Damiano Lonoce e il figlio Giovanni. Secondo le dichiarazioni rese da questi ultimi, e ritenute credibili dalla procura, il 27enne D’Angela ha tirato fuori la pistola e, durante quei momenti concitati, ha premuto il grilletto mirando proprio Cosimo Damiano Lonoce, ma colpendo per sbaglio il genitore. Una tesi che ha convinto, insieme con una serie di altri elementi, il pm Ciardo.
I due indagati, difesi dagli avvocati Biagio e Antonio Leuzzi, Leonardo Lanucara e Mariangela Calò invece, hanno reso numerose versioni sempre diverse e in contrasto tra loro al punto da spingere la procura alla loro iscrizione nel registro degli indagati. Anche il gip Francesco Maccagnano aveva confermato la tesi del pm Ciardo: Angelo D’Angela voleva uccidere il rivale, ma per via della concitazione della rissa e del fatto di trovarsi a fronteggiare un soggetto che si trovava a bordo di una vettura, ha sparato in maniera maldestra all’indirizzo del padre. E così, sia D’Angela che Papari, ora dovranno difendersi dall’ipotesi di reato di omicidio volontario. Poco dopo la convalida dei due fermi i difensori si sono rivolti al Riesame sostenendo che nessuno dei clienti ha mai utilizzato la pistola visto che l’arma è stata ritrovata nella giacca del defunto e, per la difesa, quel colpo era partito accidentalmente. Una tesi che per il momento i giudici hanno ritenuto infondata valutando come corretta l’ordinanza del gip Maccagnano.
In quel documento il magistrato ha evidenziato che la morte di Antonio D’Angela «non è stato un evento totalmente estemporaneo dovuto a cause ignote», ma un episodio «avvenuto nel corso di un conflitto» con Cosimo Damiano Lonoce e il figlio di quest’ultimo Giovanni con i quali già nel primo pomeriggio avevano avuto un diverbio nella «Associazione trainieri»: un attrito che in realtà non sarebbe nuovo, ma «ormai annoso – scrive il giudice – e legato al sospetto che i Lonoce avessero appiccato un incendio presso il fienile della famiglia D’Angela». I Lonoce, persone dai trascorsi giudiziari noti a San Marzano, soltanto sei mesi fa avevano minacciato di morte Antonio D’Angela. Ed è per tutte queste ragioni che, secondo il magistrato è corretta la tesi della procura e cioè proprio per affrontare un personaggio dello spessore delinquenziale di Cosimo Damiano Lonoce, i due D’Angela e Papari si sarebbero armati di una pistola, di una roncola e di un bastone. Ciascuno dei tre componenti del gruppo, secondo il gip Maccagnano avendo avuto del tempo tra il primo e il secondo incontro con i rivali, ha pensato di «fronteggiare i propri avversari dopo essersi previamente munito di un’arma».