MANDURIA - «Vincenzo D’Amicis non merita l’ergastolo, non l’ha ucciso per lavare l’offesa». Queste le conclusioni espresse dall’avvocato Lorenzo Bullo che assieme al collega Franz Pesare difende il nipote del boss «Stellina», Vincenzo Stranieri di Manduria, nel processo per l’omicidio di Natale Nasser Bathijari, avvenuto la notte tra il 22 e il 23 febbraio 2022 nel comune messapico.
Ritenuto l’esecutore materiale del massacro del 21enne leccese ucciso con 50 coltellate, il cui corpo venne scaricato da un cavalcavia nelle campagne del comune messapico, il 20enne è accusato di omicidio con metodo mafioso, aggravato da futili motivi e crudeltà, oltre che di rapina aggravata in concorso con il nonno Stranieri, che rischia 12 anni per aver aiutato il nipote a sottrarre la Fiat 500 alle due ragazze arrivate quella sera a Manduria con Bathijari.
Nell’udienza di ieri in Corte d’Assise a Taranto, presieduta dal giudice Filippo Di Todaro e a latere dal giudice Loredana Galasso, l’avvocato Bullo ha fornito un’interpretazione differente alla ricostruzione degli eventi presentata dal pm della Direzione distrettuale Antimafia di Lecce, Milto De Nozza. Sostenendo che le intenzioni di Bathijari non erano pacifiche, la difesa ha spiegato che il leccese era arrivato nel comune messapico per riscuotere un debito di droga, per conto del fratello. Nasser si sarebbe presentato armato nel bar Bunker e avrebbe minacciato D’Amicis che, preso dal panico, reagì accoltellandolo.
La telefonata che giorni prima dell’omicidio D’Amicis fece a Nasser Bathijari, simulando la voce del nonno per guadagnare tempo per il debito, dimostrerebbe che non avrebbe agito come un individuo temerario appartenente ad una nota famiglia criminale.
La difesa ha, infine, provato a demolire le testimonianze delle ragazze presenti nella Fiat 500 e per cui Stranieri risponde, assieme al nipote, di averle minacciate e costrette a scendere con la forza dalla 500, poi ritrovata bruciata il 25 febbraio 2023 nelle campagne di Manduria.
Per la difesa, le due ragazze hanno «attitudine a mentire in circostanze che avrebbero potuto anche salvare la vittima», non allertando i carabinieri dopo l’omicidio, ma chiamando per 15 volte il numero di cellulare del fratello di Bathijari e restando fino a tarda notte in attesa di sue indicazioni.
Nelle intercettazioni, secondo il difensore Bullo, le due donne non avrebbero mai parlato della rapina. Né riconosciuto Stranieri come assalitore, nelle prime dichiarazioni rese agli inquirenti. Chiedendo l’assoluzione, l’esclusione della recidiva e delle aggravanti e il minimo della pena per Stranieri, i difensori hanno chiesto anche per D’Amicis l’assoluzione dall’accusa di rapina.
Ad aiutare Vincenzo D’Amicis nel delitto, invece, secondo la tesi accusatoria, Domenico D’Oria Palma e Simone Dinoi, che rischiano rispettivamente 26 e 28 anni per aver portato a termine il massacro del leccese ed essersi disfatti del corpo, ancora agonizzante, nelle campagne tra Manduria e Oria.
L’avvocato Franz Pesare, che assieme all’avvocato Armando Pasanisi difende Simone Dinoi, ha spiegato che la sera dell’omicidio il 23enne si era recato solo dopo l’aggressione mortale a Nasser e che fosse all’oscuro della presenza del leccese a Manduria. Tanto da essere stato più volte chiamato da D’amicis mentre era ancora in compagnia della fidanzata e alcuni amici e di averlo raggiunto soltanto alle 23.42, quando il leccese usciva dal bar Bunker, ricoperto di sangue. Per D’oria Palma, il difensore Armando Pasanisi ha sostenuto che non ci siano prove dirette del suo coinvolgimento e che in quel bar si trovassero solo la vittima e il nipote di Stranieri.
I difensori hanno condiviso le conclusioni e chiesto per entrambi l’assoluzione perché il fatto non sussiste, attenuanti generiche e minimo della pena, con esclusione delle aggravanti e l’accesso a rito abbreviato.