TARANTO - «Sono manipolati per poter avere le quote Co2... sono finti... a posta». Lucia Morselli, ex amministratrice delegata di Acciaierie d'Italia, spiega così alcuni dati che la società che gestiva l'ex Ilva di Taranto avrebbe inserito nei documenti ufficiali in relazione alla restituzione delle cosiddette «quote Co2 consumate nel 2022 e all'assegnazione di quelle a titolo gratuito per il 2023». Ignara di essere intercettata dai finanzieri del comando provinciale di Bari, l'allora capo di Adi conferma senza volerlo i dubbi maturati dalle fiamme gialle e dal pubblico ministero Francesco Ciardo della procura di Taranto che coordina l'inchiesta. La tesi dell'accusa è che la società, composta da ArcelorMittal e Invitalia, negli anni precedenti all'arrivo dei commissari avrebbe attestato nel piano di monitoraggio e rendicontazione al Comitato Ets (Emission Trading System) falsi quantitativi di consumi di materie prime (fossile, gas, ecc.), di prodotti finiti, semilavorati e giacenze alterando così il «fattore di emissione» e il «livello di attività» per ottenere un maggior numero di quote. In sostanza l'ex Ilva ha dichiarato di aver utilizzato un numero di quote inferiore a quello effettivo al punto che il Comitato interministeriale ha assegnato gratuitamente allo stabilimento per l'anno 2023, un ammontare di quote superiore a quello spettante. Per dirla in parole ancora più semplici, per la procura di Taranto, l'azienda ha sostenuto di aver inquinato meno e di aver mantenuto all'incirca lo stesso livello di produzione.
La questione è particolarmente complessa. Bisogna innanzitutto comprendere che le «quote Co2» sono un meccanismo economico che premia gestori virtuosi che inquinano meno pur producendo. L'Europa attraverso lo Stato italiano assegna a ciascun insediamento un determinato numero di quote sulla base di una serie di caratteristiche dell'azienda tra cui tipologia di produzione e dimensioni: è facile quindi intuire che le quote assegnate all'ex Ilva sono un numero particolarmente elevato. Ogni impresa, però, è tenuta a restituire allo Stato le quote «utilizzate» corrispondenti alla quantità di emissioni rilasciate nell'anno. Quelle quote, in realtà posso anche essere acquistate dallo Stato, da altre imprese o, al contrario, vendute sul mercato. Le quote, quindi, sono un valore economico. Dagli atti dell'inchiesta emerge che nel 2022, Acciaierie d'Italia ha restituito un numero di quote pari a 4 milioni e 700mila euro, ma per gli inquirenti è un totale «inferiore a quello effettivamente emesso». E proprio sulla base di questa falsa dichiarazione per il 2023 l'azienda ha ottenuto oltre 6 milioni e 400mila quote che valgono circa 516 milioni. Dalle attività investigative svolte finora, però, gli inquirenti non sono riusciti a capire quale sia stato nel 2022 il reale numero di quote utilizzate ed è per questo che il pm Ciardo ha firmato i decreti di perquisizione e i finanzieri sono entrati non solo negli uffici dello stabilimento di Taranto, ma anche nelle case degli indagati.
Sotto accusa, oltre a Lucia Morselli, sono finiti anche il suo segretario, Carlo Kruger, la consulente Sabina Zani e poi Francesco Alterio, Adolfo Buffo e Paolo Fietta che hanno ricoperto gli incarichi di procuratori speciali di AdI, Vincenzo Dimastromatteo e Alessandro Labile entrambi per periodi differenti direttori dello stabilimento. E ancora Antonio Mura, anche lui procuratore di AdI con funzioni di Direttore Finanze Tesoreria e Dogane e infine il dipendente Felice Sassi. Le perquisizioni, però, sono state estese anche alle caselle di posta elettronica di altre sette persone, al momento non indagate.
Nelle 38 pagine del decreto, il pm Ciardo spiega chiaramente che dai documenti acquisiti e dalle intercettazioni è possibile dimostrare «che le dichiarazioni effettuate da Acciaierie d’Italia per l'assegnazione gratuite di quote Co2 per l'anno 2023 e la restituzione di quelle attribuite gratuitamente l'anno 2022 risultano non attendibili e non veritiere».
E tra le telefonate riportate nelle carte, ce n'è un'altra di Lucia Morselli nella quale l'ex ad sembra ancora una volta confermare, secondo la lettura della procura, l'ipotesi di truffa: la consulente Zani, infatti, sostiene di aver trovato «discrepanze tra giacenze e consumi tecnici» e aggiunge che «rispetto ai consumi risulterebbero ancora giacenze che in realtà non vi sono» proprio Morselli le risponde di «conoscere esattamente la questione dell'assenza delle 260mila tonnellate».
Nel provvedimento notificato ieri agli indagati, infine, si legge che «la natura e la ratio di tali operazioni (alquanto peculiari) risultava evidente considerando il tenore delle conversazioni sopra riportate sulla necessità di alterare i dati relativi alle giacenze, ai consumi» di materie prime quali minerali, coke o gas alla quantità di prodotti finiti o semilavorati: manipolare quei dati serve a non ridurre il livello di produzione. E quindi a non perde quote di Co2: soldi che all'ex Ilva targata Morselli servivano disperatamente.