TARANTO - È stato condannato a 9 mesi di reclusione un medico ortopedico accusato di lesioni gravissime per una diagnosi sbagliata che portò all’amputazione di un piede segnando per sempre la vita di Anna Briganti, 49enne tarantina, militante del Partito Radicale. È stato il giudice Elio Cicinelli, nel pomeriggio di ieri a emettere la sentenza di primo grado: il pm Francesco Sansobrino aveva chiesto la condanna a 1 anno e 4 mesi, ma il giudice ha optato per una pena più lieve.
È stata la denuncia presentata da Anna, attraverso l'avvocato Giuseppe Rossodivita, a dare il via a un'indagine penale che ha portato sotto processo un medico ortopedico, autore per l'accusa di quella diagnosi sbagliata che ha poi avviato quell'inarrestabile calvario medico. L’accusa, formulata allora dal pm Lucia Isceri, ha sostenuto che il medico «per colpa gravissima, consistita in imprudenza, imperizia e negligenza» commise errori nella fase diagnostica, in quella di valutazione dello stadio in cui si trovava il tumore che si era sviluppato sull'arto della 49enne e anche «nella fase chirurgica».
In particolare, l'ortopedico non avrebbe eseguito «un approfondimento diagnostico tramite risonanza magnetica con mezzo di contrasto» e non indirizzò la paziente «per l'approfondimento diagnostico di secondo livello verso un centro specializzato o un centro che seguisse le raccomandazioni diagnostico-terapeutiche prescritte dalle linee guida per i sarcomi».
A giugno 2017, infatti, la donna si recò in ospedale perchè da giorni il dorso del suo piede era diventato nero, ma dopo una risonanza magnetica senza mezzo di contrasto, il medico la dimise sostenendo che si trattasse di una cisti. Non solo. Per l'accusa avrebbe indotto Anna Briganti «ad acconsentire all'intervento in assenza di un'adeguata e completa informazione, facendole sottoscrivere un modulo per consenso informato standard e senza prima fornirle un'adeguata informazione sul tipo di lesione, sul tipo di intervento, sui possibili esiti e sulle complicanze, di modo che la Briganti non si rendeva conto del tipo di intervento e dell'eventuale necessità di rivolgersi a un centro specializzato». Ma c'è di più.
Secondo la procura avrebbe anche eseguito un intervento chirurgico «in modo gravemente imperito, imprudente e negligente» in cui non sarebbero state seguite le regole della chirurgia oncologica, «senza neppure rendersi conto in fase diagnostica - scrive testualmente il magistrato - della presenza di un tumore». Quando si sarebbe accorto di quella massa, infine, «anziché limitarsi a un prelievo bioptico e indirizzare la paziente in un centro specialistico» avrebbe asportato il tumore in modo da provocare «la diffusione della malattia» in altre parti del corpo.
E come se non bastasse non avrebbe neppure eseguito la radioterapia raccomandata dalle linee guida dopo l'intervento. E così poche settimane dopo la situazione precipitò nuovamente costringendo la 49enne a recarsi a Bologna dove i medici non hanno potuto fare altro che amputare il piede destro. Dopo il calvario medico, ieri è giunta la prima svolta di quello giudiziario con la sentenza di primo grado.