BARI Cinque anni fa, ai tempi della prima «guerra» legale tra lo Stato e ArcelorMittal sulla gestione del complesso aziendale ex Ilva, intervennero le Procure di Milano e Taranto per cercare di capire cosa stesse accadendo sulla pelle e dietro le spalle di operai e imprenditori dell’indotto. A scatenare l’intervento della magistratura fu il recesso del contratto di acquisto dell’ex Ilva di Taranto operato in maniera unilaterale da ArcelorMittal Italia.
La società Ilva in amministrazione straordinaria, oggi come allora proprietaria degli impianti concessi in fitto ad Acciaierie d’Italia (partecipata da ArcelorMittal e Invitalia) chiese un provvedimento che inibisse ai franco-indiani di dar corso alle preannunciate iniziative di progressiva cessazione delle attività produttive funzionali alla restituzione dei rami d’azienda che avrebbero portato alla distruzione delle aziende stesse, obbligando l’affittuario a continuare, in conformità ai propri obblighi contrattuali, nella gestione delle aziende.
Negli stabilimenti e nelle sedi dell’ex Ilva arrivarono i carabinieri e la Guardia di Finanza, il trambusto fu notevole e chissà se quelle iniziative, rimaste senza seguito processuale, consigliarono alla multinazionale dell’acciaio di trovare, come in effetti fu poi trovato, un accordo con lo Stato.
Cinque anni dopo la storia si ripete. Il giorno dopo la nuova rottura tra Governo e ArcelorMittal, con tanto di annuncio di battaglia legale, i carabinieri del Nucleo operativo ed ecologico di Lecce giusto ieri sono tornati negli uffici e nelle sedi del siderurgico di Taranto per dare seguito a un ordine di acquisizione di documenti relativi alle emissioni, in particolare in zona cokeria e rispetto al benzene ma non solo, firmato dai pubblici ministeri Mariano Buccoliero e Francesco Ciardo. I due magistrati sono i titolari di un’inchiesta - a carico di persone note - aperta nei confronti dei gestori dello stabilimento siderurgico di Taranto per inquinamento ambientale e getto pericoloso di cose. Sotto i riflettori sono finite le emissioni dal 2018 ad oggi, in pratica nel periodo di gestione ArcelorMittal. Da mesi le emissioni di benzene nell'atmosfera sono sotto osservazione: sia le autorità sanitarie, sia l'Arpa Puglia hanno evidenziato un aumento delle concentrazioni di questo gas inquinante. Nonostante non si sia finora superato il valore soglia fissato dalla norma (5 microgrammi per metro cubo d'aria come media annuale), sono tuttavia i picchi periodici di benzene e la particolarità della situazione ambientale di Taranto a richiedere - per le autorità sanitarie e gli organi di vigilanza - un supplemento di attenzione.
Intanto, c’è attesa per la piega che prenderà la vicenda societaria di Acciaierie d’Italia. Stamattina il ministro al Made in Italy Adolfo Urso riferirà al Senato mentre domani sera alle 19 il Governo incontrerà le organizzazioni sindacali.
ArcelorMittal ieri sera fa fatto sapere di essere disponibile a scendere in minoranza ma il controllo sulla governance deve restare condiviso al 50%. «ArcelorMittal è favorevole al versamento da parte di Invitalia di ulteriori 320 milioni di euro di capitale fresco per supportare le operation di Adi, con la propria conseguente diluizione al 34%» spiegano fonti vicine al dossier, rilevando però come la proposta di Invitalia «di funding e diluizione al 34% di ArcelorMittal preveda anche la cessazione del controllo condiviso al 50% tra i due soci». «È - si sottolinea - un «controllo condiviso del quale invece oggi beneficia Invitalia, detentrice di una quota del tutto simile, pari al 38%. La cessazione del controllo condiviso va in direzione contraria a tutte le interlocuzioni avvenute». Mittal invece, continuano le stesse fonti, «si sarebbe aspettata di poter continuare a esercitare il ruolo di partner industriale di Invitalia, con il medesimo status di controllo al 50% anche a pesi azionari invertiti».