TARANTO - «Mi sto impegnano molto, perché avendo un carattere particolare, mi sono messo nelle condizioni di poter cambiare». Mamadou Sakho è nato in Senegal 45 anni fa ed è un ex calciatore. Non ha indossato le maglie prestigiose del Psg o del Liverpool, come il suo omonimo francese, ma con orgoglio ha difeso i colori del Nardò, del Galatina e del Sassari. Una carriera calcistica che ha dovuto da subito fare i conti con le delusioni: gli insulti dagli spalti, le accuse di doping, la depressione. Una spirale negativa che lo ha spinto sempre più in basso fino alle rapine e poi in prigione.
«Io - racconta Mamadou - sono finito in carcere intanto perché non ho seguito le regole e poi ho commesso un reato che si chiama estorsione. La durata della pena è stata lunga, ma ora il percorso sta andando avanti, oggi so che non è il reato che ti definisce».
È arrivato in Italia all’età di 11 anni con il sogno nel cassetto di diventare un calciatore. Tra mille difficoltà ci è riuscito, giocando in diverse squadre, prima in Sardegna poi a Treviso e infine in Puglia. Nel periodo in cui ha vissuto in Veneto, ha conosciuto una ragazza: aveva dieci anni più di lui, ma Mamadou se n’è innamorato. Sono andati a vivere insieme, ma per una serie di problemi, le loro strade si sono divise.
La fine della relazione, della sua carriera calcistica e la depressione lo hanno portato in un abisso di errori, rapine ed estorsioni. Quando le sbarre della cella si sono chiuse dietro di lui, ha pensato di aver toccato il fondo. Ma lì, in quel posto in cui i sogni sembrano svanire, Mamadou ha trovato il modo di rimettersi in gioco: da lì, da quella cella che allontana il mondo è partita la sua remuntada.
Si è convertito al cristianesimo grazie a due sacerdoti di «Senza Sbarre», il progetto della diocesi di Andria a cui Sakho ha aderito. Il programma si occupa di attuare la misura alternativa al carcere di comunità ed è pensato per rieducare alla legalità chi ha vissuto o ancora vive l’esperienza detentiva. «Ho avuto la fortuna – ammette oggi Mamadou - di conoscere degli angeli che mi hanno fatto uscire da quella situazione particolare, perché stavo navigando in un mare senza fine. Io posso dirgli soltanto grazie perché sono riusciti ad accogliermi in tempo. Altrimenti non lo so che fine avrei fatto».
La sua storia è stata raccontata nel romanzo «Il profumo della dignità» scritto da Angela Covelli e stampato nel gennaio 2020. Un libro che fa parte della collana «quaderni di vita fuori dal carcere».
Purtroppo anche questa esperienza è terminata. Ad Andria, Mamadou aveva iniziato a lavorare in un tarallificio, che per delle difficoltà fisiche, ha dovuto lasciare.
L’ex calciatore è così ricaduto nella spirale distruttiva, compiendo nuovamente reati. Il ritorno in carcere, questa volta a Taranto, gli ha offerto l’occasione di conoscere l’associazione «Noi e Voi»: oggi sconta la pena nella casa famiglia San Damiano ed è convinto che questa è la volta buona: «Il cambiamento - ha raccontato - deve partire anche dalle nostre abitudini, dal nostro orgoglio, che a volte dobbiamo mettere da parte per andare avanti». Ora Mamadou incontra i giovani e racconta la sua storia, i suoi errori. Senza sconti. Racconta la storia di quel bambino del Senegal che sognava di fare il calciatore e che ora trova la forza di tornare a giocare dopo ogni sconfitta.