«Ero perfettamente consapevole della sfida che avrei dovuto affrontare accettando di lavorare per la Notte della Taranta, ma sono altrettanto convinto che con la fantastica Orchestra popolare e con gli ospiti riusciremo a creare un’esperienza molto coinvolgente per tutto il pubblico». C’è entusiasmo nelle parole di David Krakauer. Come la Gazzetta ha anticipato nelle scorse settimane, il sessantanovenne clarinettista newyorchese, figura di primo piano della musica klezmer e artista trasversale a suo agio tanto con i linguaggi contemporanei, quanto con il jazz, è il nuovo maestro concertatore della Notte della Taranta. Una scelta, la sua, fatta per riportare la barra al centro dopo che, almeno a detta degli studiosi, la kermesse salentina si era spostata su una deriva eccessivamente pop, snaturando quell’idea di rivisitazione creativa della tradizione che, dal 1998, aveva visto impegnati artisti quali Joe Zawinul, Stewart Copeland, Goran Bregovic e, tra gli italiani, Piero Milesi, Vittorio Cosma, Giovanni Sollima, Mauro Pagani e Ludovico Einaudi.
Mr. Krakauer, nel suo primo soggiorno leccese lei ha già incontrato l’Orchestra della «Notte» e, sicuramente, ne ha già ascoltato parte del repertorio. Cosa l’ha colpita in particolare e, soprattutto, ha trovato dei punti di contatto con gli altri generi musicali da lei praticati?
«Mi sono accostato a questo mondo attraverso le stupefacenti registrazioni effettuate sul campo da Diego Carpitella e Alan Lomax negli Anni ‘50 del secolo scorso, che mi hanno fornito il nucleo del materiale musicale sul quale lavorare per il Concertone della Notte della Taranta. Ma voglio aggiungere che sono rimasto colpito anche dal livello dei musicisti e dei cantanti dell’Orchestra popolare: la loro genuinità, la loro passione rappresentano il terreno comune tra la musica del Salento e quella che da sempre ho cercato di creare».
Lavorare sulle musiche della Taranta significa realizzare un importante punto di equilibrio fra tradizione e innovazione. Come pensa di muoversi e, più in generale, da docente di prestigiose istituzioni internazionali, come spiegherebbe questo tipo di operazione a dei giovani studenti?
«Se parliamo di rapportarsi con generi musicali differenti, credo sia di vitale importanza per chiunque approfondire dettagliatamente uno stile per conoscerlo in ogni suo dettaglio: solo allora, grazie a quell’intima connessione, è possibile trovare la propria voce. Molti anni fa, quando mi avvicinai alla musica delle mie radici, quella degli ebrei dell’Europa orientali (il klezmer, ndr), la appresi attraverso lo studio delle registrazioni delle fonti originali e soltanto dopo fui in grado di smarcarmene per creare il mio linguaggio personale. E voglio usare questa stessa strategia anche con la musica del Salento. Il mio obiettivo è di preservare, esaltandole, la bellezza, la dignità e l’incredibile forza espressiva di questa tradizione».
A questo proposito, la Taranta non è solo musica, ma anche danza. Come pensa di mettere in relazione i due linguaggi?
«La Fondazione che ha incaricato me, si è rivolta a Fredy Franzutti, un validissimo coreografo salentino che realizzerà coreografie destinate ad andare in scena per almeno un terzo della serata. Vedrete».
Parliamo degli ospiti. Nella sua carriera ha collaborato con gli artisti più disparati, dal Kronos Quartet al sassofonista John Zorn o al pianista Uri Caine. Tutti si aspettano che sfrutti queste sue relazioni per costruire un cast artistico degno di nota. Ha già qualche nome in mente?
«Certamente, stiamo mettendo insieme un cast che, ne sono certo, sarà favoloso. Purtroppo però, in questo momento non sono ancora autorizzato a fare i nomi dei personaggi con i quali sono in contatto».
Quali impressioni ha ricevuto dopo la sua visita nel Salento delle scorse settimane?
«Ero già venuto a suonare in Puglia qualche tempo fa nelle vicinanze di Bari, ma non avevo mai visto Lecce e devo dire che ne sono rimasto affascinato, specialmente quando ho visitato la meravigliosa basilica di Santa Croce, credo sia una delle costruzioni più belle che abbia mai visto in vita mia. E mi ha anche sorpreso notare come alcune facciate dei palazzi del centro storico, con le loro sculture in pietra, abbiano delle similitudini con quelle che adornano gli edifici di New York realizzati a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento proprio con il contributo di numerosi artigiani italiani».
Visto che ha parlato di New York, ha progetti per esportarvi la Taranta e, più in generale, crede si possa pensare a una sua visibilità internazionale?
«Senza dubbio! La Taranta è una musica che ci parla di trance, estasi, catarsi, tutti elementi universali che appartengono all’intero genere umano. Chiunque nel mondo potrebbe mettervisi in relazione. Sto ragionando con la Fondazione della “Notte” proprio su un progetto che varchi l’Oceano, sarebbe fantastico».
Il mondo, non solo quello occidentale, sta vivendo dei momenti molto difficili. Qual è a suo avviso il ruolo che devono svolgere gli artisti e come può la musica contribuire a promuovere un cambiamento, a costruire una strada verso la pace?
«Parlando della Notte della Taranta, devo riconoscere che questo appuntamento, rivolgendosi a una platea molto ampia, costituisca un’opportunità unica per lanciare un messaggio di pace che sia capace di opporsi all’impennata di odio, bigottismo, arroganza politica, autoritarismo e sfrenata avidità dei nostri tempi. Io penso che se come artisti riusciremo a esprimere una forza capace di contrastare tutta questa follia, allora forse avremo una possibilità di ottenere dei risultati. Personalmente vorrei lanciare un messaggio di fratellanza universale, esaltare il diritto di ogni essere umano di vivere in pace, sicurezza e serenità: è il lavoro artistico che già svolgo da alcuni anni con la pianista e compositrice Kathleen Tagg, mia partner. Adesso, per la Notte della Taranta, sto lavorando su un cast internazionale che sia multistilistico, multietnico e soprattutto capace di dialogare con la musica tradizionale del Salento, che a sua volta è portatrice di messaggi di lotta e di giustizia sociale. Credo che questa combinazione di artisti, dei loro stili, dei loro linguaggi, possa rappresentare la metafora di un forte messaggio di tolleranza, empatia, rispetto e pacifica convivenza».
Per concludere, se la domanda è lecita, qual è la sua opinione sulla nuova America emersa dopo le ultime presidenziali?
«Da dove vuole che inizi? A parte il completo smantellamento dei principi fondamentali della nostra Costituzione e delle libertà fondamentali, la linea politica sin qui perseguita dal nuovo governo americano è priva di compassione e profondamente crudele. Non riconosco più l’America che, all’alba del Ventesimo secolo, accolse i miei avi in fuga dalle persecuzioni e dalle schiaccianti difficoltà economiche del Vecchio Continente».