«La giornata di saluto e commiato da Papa Francesco resterà nel cuore di tutti»: così il governatore Michele Emiliano racconta, poco dopo la fine della cerimonia, l’emozione per il funerale del pontefice argentino.
«Questa storia, per gli italiani, è cominciata il 13 marzo del 2013. Ricordo nitidamente quelle ore di attesa, la fumata bianca del Conclave che sorprese anche il vaticanista in diretta sulla Rai. Il pathos fu fortissimo. L’abbiamo conosciuto tutti con il suo “Buonasera” dal balcone di San Pietro», aggiunge unendo i suoi sentimenti a una devozione che si è consolidata in questi anni. «Aveva la capacità di conquistare con uno sguardo i cuori dei vari interlocutori - spiega alla Gazzetta Emiliano - grazie ad un carisma unico, che era connesso alla sua voglia di essere strumento dell’amore di Dio».
Il leader pugliese era a San Pietro, a pochi metri dagli ex premier Mario Draghi, Paolo Gentiloni e Matteo Renzi, come rappresentante della Conferenza delle Regione, organismo di cui è vicepresidente: «Volevo esserci, per ringraziarlo, per rendergli onore». Quasi evocando una citazione de La grande bellezza di Paolo Sorrentino («Il funerale è l’appuntamento mondano per excellence. Ad un funerale, non bisogna mai dimenticarlo, si va in scena») argomenta: «I funerali sono tante cose, momenti di riflessione ma anche occasioni in cui si esplorano miserie e contraddizioni della società». E chiosa: «In una giornata storica, si registrano anche i limiti di tutti, ho fatto fatica a rimanere concentrato sul ricordo della sua voce e delle speranze che avevo riposto in lui». L’omelia del cardinale Giovanni Battista Re ha messo al centro la missione svolta da Bergoglio: «È stata magnifica. Ha ricordato i fatti più qualificanti: il viaggio a Lampedusa e la messa celebrata al confine tra Messico e Usa. Non so quanto abbia fatto piacere ai politici presenti, ma insieme alla dichiarazione del nome “Francesco” che aveva scelto, intorno a questi tre passaggi si ritrova il manifesto del suo pontificato».
La scelta di chiamarsi come il santo poverello di Assisi, dal 2013, ha sbaragliato tutti gli schemi: «Noi italiani conosciamo San Francesco fin da studenti, grazie alla meraviglia del suo Cantico, ma l’evocazione di un santo così rivoluzionario è stata subito scandalosa per tanti. Il manifesto di Bergoglio fin da subito non è andato bene a tutti, ma il Papa aveva scelto di vivere secondo i suoi valori, senza compromessi».
Anche a livello internazionale, la sua autonomia non piaceva a tutti: «Farò fatica a farmi passare il dolore per la scelta dello Stato d’Israele di far revocare le condoglianze degli ambasciatori al Vaticano. Una cosa così, Francesco, non la meritava. Lo dico da persona da sempre vicina a Israele, come ai palestinesi, da politico che vive come un dramma personale il conflitto mediorientale». Da qui la riflessione sull’impegno pacifista del Papa che veniva dal Sud del mondo: «Tanti credenti o laici si chiedono come sia stato possibile non riconoscere lo sforzo di Francesco per la pace o quanto amasse ebrei e palestinesi». Qui emerge la cifra della sua leadership morale: «Quando si amano i figli, bisogna dire loro la verità. Ascoltando la verità si ha una possibilità in più per fare la cosa giusta. Qualcuno invece ha pensato di offendersi e isolarsi in maniera incomprensibile. Ero seduto a pochi banchi dal rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni: non l’ho abbracciato, ho evitato ogni platealità, ma l’ho ringraziato nel mio cuore per la maturità con cui ha affrontato la relazione intima e politica con Papa Francesco».
Il pontefice sudamericano aveva un legame speciale con la Puglia ed Emiliano si commuove nel ripercorrere le giornate delle sue visite nel Tacco d’Italia. «La prima è stata il 17 marzo 2018 a San Giovanni Rotondo. Lì andai con mia madre Franca. Poi è tornato il 20 aprile 2018, a Molfetta e Alessano per don Tonino Bello. E ancora il 7 luglio del 2018 e, prima del G7 di Borgo Egnazia nel 2024, anche il 20 febbraio 2020, per l’incontro ecumenico a Bari». La politica dovrebbe fare tesoro di quella tensione ideale: «Come Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, era consapevole del ruolo universale di San Nicola per le chiese d’Oriente e della Russia. Francesco voleva superare le divisioni teologiche».
Emiliano si ferma e riflette. Poi ripercorre le giornate in Russia: «Proprio Bergoglio ci spedì a Mosca e San Pietroburgo con le reliquie di San Nicola, un evento storico. Nella capitale russa la teca dorata fu accolta da un milione di persone per le strade, con una incredibile devozione popolare. Lì Kirill mi diede, per merito di Francesco, la croce dell’ordine di San Serafino, onorificenza che conservo con emozione, anche per aver restituito al patriarcato di Mosca la chiesa russa di Bari». I giorni dell’inizio del conflitto in Ucraina ebbero una appendice nella città nicolaiana: «Provammo con il cardinale Parolin a utilizzare la “diplomazia del vescovo di Myra”, ma non ci fu nulla da fare, anche per la netta chiusura del governo italiano e degli Usa. Eppure sarebbe bastato seguire questa intuizione dei pontefici per evitare tante tragedie…». L’ultima volta in Puglia, a Borgo Egnazia, parlò di Intelligenza artificiale: «Il suo messaggio è stato di invitarci a non avere paura ma allo stesso tempo ha spiegato che non bisogna delegare alla tecnologie il dialogo tra popoli o la costruzione della pace».
«È stato durissimo - prosegue ancora - nell’affrontare la questione della pedofilia tra i prelati, portando trasparenza nella Chiesa. Mi auguro che i successori riusciranno a sopportare il peso che lui ha sostenuto per questa battaglia. E Francesco indicava un percorso, senza salire in cattedra. Non a caso disse “chi sono io per giudicare?”, quando fu interrogato sulla ricerca di Dio per le persone gay». L’eredità più preziosa? «Il coraggio di dire cosa avrebbe voluto fare e la forza di perseguire la sua via, non considerando il non riuscirci in pieno un fallimento. Una lezione anche per la politica. La scelta della speranza è un punto cardinale anche per il suo successore, oltre che per tutti noi credenti», conclude Emiliano.