BARI - Trent’anni fa, eppure sembra ieri. Lo ricordo bene quel pomeriggio di primavera, triste, lento, solenne. Lo ricordo come un film in bianco e nero, come una interminabile sequenza alla moviola. Non fu solo un funerale, quello di don Tonino Bello. Fu molto più di un funerale. Fu il compimento di una parabola intima e sociale, della fede e della storia. Fu la manifestazione di un lutto corale, incontenibile, che dilagava strada per strada, varcava gli oceani, travalicava il recinto dell’ecclesia e diventava dolore della civitas.
Fu un’esplosione persino struggente di tenerezza e di nostalgia per un uomo che era stato credibile ancor prima di essere credente, che aveva abitato il Vangelo in tutta la sua “scandalosa” radicalità, che si era arricchito della povertà del mondo, che aveva camminato sulla sequela degli ultimi, che aveva consolato gli afflitti ma anche “afflitto i consolati”, che aveva contestato il realismo malato dei trafficanti di guerre e dei custodi di un ordine sociale iniquo e feroce.
La perdita del nostro Ve- scovo ci faceva male, ci col- piva individualmente e collettivamente. Fu un riparo sentirsi parte di quella folla immensa, composta, commossa, ondeggiante, stipata sulla banchina del porto, in...