«Non ho mai finanziato Emiliano, né direttamente né indirettamente». Lo ha detto l’imprenditore Vito Ladisa in tribunale a Torino, dove oggi è intervenuto con una dichiarazione spontanea al processo in cui è imputato insieme al presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, all’ex capo di gabinetto Claudio Stefanazzi (ora deputato Pd) e a un altro imprenditore, Giacomo Mescia.
Il caso è legato alla campagna elettorale del 2017 per le primarie del Pd e, in particolare, a versamenti per un totale di circa 63mila euro effettuati dalle aziende di Mescia e Ladisa alla Eggers, la società torinese di comunicazione che si occupò di Emiliano. «Io e la mia azienda - ha affermato Ladisa - siamo estranei ai rapporti fra Eggers ed Emiliano. Quell'anno contattai Pietro Dotti (titolare di Eggers, ndr) per una nostra campagna di comunicazione. Ci incontrammo alcune volte: lui svolse il lavoro, mi presentò il conto e pagai. Lui mi parlò una sola volta di Emiliano definendolo un 'cattivo pagatore'. Gli risposi che delle questioni del governatore non mi interessavo. Io non frequento Emiliano. E nel 2017 neppure lo sostenni».
Nel corso della sua dichiarazione spontanea, Ladisa ha fatto riferimento alla testimonianza resa da Dotti, dicendosi «basito».
«Ho appreso - ha sottolineato - che ha detto che rinunciò ai suoi crediti verso Emiliano (dopo avere ricevuto i soldi di Ladisa, ndr) e che considerò i suoi rapporti con la nostra azienda come investimento. Sono rimasto basito. Di tutto questo ha sempre taciuto. Io non frequento Emiliano. E non ho mai pagato un debito altrui».
Il gruppo Ladisa opera nel campo della ristorazione. In aula Vito Ladisa ha spiegato che conta seimila dipendenti e opera in tutto il territorio nazionale «da Bolzano a Favignana», sottolineando che «il nostro fatturato è per l’1% in Puglia, per il 99% l’Italia e per lo zero per cento con la Regione Puglia».
STEFANAZZI IN TRIBUNALE: EMILIANO SI ARRABBIO'
Il deputato Claudio Stefanazzi (Pd) è stato interrogato oggi in tribunale a Torino al processo per finanziamento illecito in cui è imputato insieme al governatore della Puglia, Michele Emiliano, e agli imprenditori Vito Ladisa e Giacomo Mescia. I fatti risalgono al 2017 e si riferiscono a somme versate dalle aziende di Mescia e Ladisa alla Eggers, la società torinese che curò la campagna elettorale di Emiliano alle primarie di quell'anno del Pd.
Stefanazzi ha raccontato che Emiliano, quando seppe che Pietro Dotti (il titolare di Eggers) sosteneva di non essere stato pagato «si arrabbiò moltissimo e ci disse 'risolvete questa cosà». L’allora capo di gabinetto ha aggiunto che dallo staff elettorale gli chiesero di «interpellare degli amici per fare fronte al pagamento dei 20mila euro» rivendicati da Dotti. "Io - ha detto - pensai subito a Giacomo Mescia, un amico di cui avevo sempre apprezzato le doti di affidabilità e correttezza, che si disse disponibile. Poi non me ne occupai più». Il versamento alla Eggers da parte dell’azienda di Mescia, secondo Stefanazzi, sarebbe stato un finanziamento a titolo di "erogazione liberale».
Il deputato ha definito «false» le ricostruzioni in base alle quali indicò Ladisa come il soggetto che avrebbe dovuto pagare la seconda parte del compenso richiesto da Dotti.
Il pm Giovanni Caspani, in aula, ha detto a Stefanazzi di trovare «strano» il suo disinteresse verso la seconda parte della vicenda: «Dopo le primarie - ha risposto il deputato - cominciammo a occuparci di una serie di complesse attività amministrative che riguardavano la Regione e, per quanto importante fosse la questione, per me non era prioritaria. Io e il presidente Emiliano eravamo fortemente infastiditi dalle insistenze di Dotti e, personalmente, chiusi i contatti con lui. Non sapevo nemmeno che volesse altro denaro. Dopotutto c'era una struttura (l'associazione del comitato elettorale, ndr) che se doveva occupare». «A Mescia - ha poi raccontato - dissi di pagare la fattura con la causale riportata da Dotti. Se poi a Dotti qualcuno disse di togliere il nome del presidente, non ne so nulla».
Stefanazzi ha ribadito che il progetto preparato dall’agenzia di Dotti risultò «copiato» da quello messo a punto mesi prima per Debora Serracchiani, altra esponente Pd.