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giustizia
15 Marzo 2018
Giovanni Rivelli
Stritolato da un giro di usura alle spalle del quale si profilava l’ombra di un pericolosissimo clan campano, costretto a cedere immobili a fronte di assegni da oltre un milione di euro solo fittiziamente emessi e a pagare interessi che superavano il 70% annuo. Poi, fortunatamente, il giro viene scoperto e interrotto da un’inchiesta ma la vittima di tutto ciò recupererà solo 310mila euro con il rischio, paradossale, di dover riarcire in quota il danno all’azienda di cui è titolare. È la disavventura di un noto imprenditore potentino, Angelo Ciuffreda, a cui la Corte di Cassazione ha tolto ora le resideue speranze di essere ristorato del danno patito personalmente e dall’azienda di cui è titolare la «Building center Srl».
La vicenda venne alla luce il primo aprile del 2008 con gli arresti eseguiti dalla Guardia di Finanza, su mandato della Procura antimafia di Napoli, di Pasquale Pierro e Marco Voccia, con le accuse di usura, estorsione e falso, con l’aggravante di aver commesso il fatto al fine di agevolare le attività illecite del clan Di Lauro. Uno dei due imprenditori usurati era appunto il lucano che si era rivolto ai due per piccoli prestiti, tra i 5 e i diecimila euro per volta, necessari alla sua attività imprenditoriale a un tasso di interesse del 6% mensile. Alla fine il debito era diventato insostenibile e Ciuffreda, per salvare la sua attività, si vide costretto a cedere una palazzina di sua proprietà Potenza e una villa a Formia (in provincia di Latina) alla Gargiulo Immobiliare facente capo a Pierro. Una cessione a fronte della quale fu dichiarato un pagamento di un milione e 250mila euro, per testimoniare i quali vennero emessi una serie di assegni. E proprio 90 assegni ciascuno pe run valore di 12.500 euro (per un totale di un milione e 125mila euro) intestati alla Buildiung Center e riportanti una falsa firma di girata di Ciuffreda, vennero trovati a casa di Pierro nel corso dlela perquisizione contestuale all’arresto.
Partì così il processo ma Ciuffreda, intanto, concordò un risarcimento di 310mila euro, firmò la relativa liberatoria e non si costituì parte civile né in proprio né per la Building center. Ma, quando il primo grado di giudizio stava terminando, a nome dlela società avanzò richiesta di restituzione degli immobili e degli assegni. Un’istanza respinta prima dal Tribunale, che erroneamente fece riferimento ai 310mila euro, e poi confermata in Appello, ma annullata dalla Cassazione (per una diversa qualificazione dell’istanza) e quindi nuovamente rigettata dal Tribunale.
Quindi un nuovo ricorso in Cassazione ma, sebbene il Procuratore generale abbia chisto un nuovo annullamento del rigetto con rinvio perché i giudici, dopo il primo annullamento perché avevano interpretato l’istanza come finalizzata alla restituzione dei 310mila euro, con la seconda «avrebbero omesso di pronunciarsi sul merito della richiesta» ha ritenuto comunque la doglianza infondata. «La società Building - hanno osservato - non poteva ritenersi né persona offesa dal reato di usura, non essendo soggetto passivo del reato, né terzo i cui beni erano sequestrati e poi confiscati, ma solo terzo estraneo che lamentava di aver ceduto beni senza aver ricevuto alcunché a titolo di corrispettivo» e «Ciuffreda aveva ricevuto la somma di euro 310.000,00 a titolo di risarcimento del danno, in misura comprensiva anche del depauperamento patrimoniale subito dalla società Building Center srl». Il pratica «la società, essendo terza estranea al rapporto illecito instaurato dal Pierro col Ciuffreda, doveva legittimamente chiedere la propria quota di risarcimento solo a quest'ultimo».
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