L’autunno caldo della Basilicata rischia di bruciare tutti i buoni propositi di dialogo tra gli attori sociali della Regione per arginare l’impatto della crisi sanitaria sul sistema produttivo. Mentre l’assessore alle attività produttive, Cupparo, chiama al tavolo tecnico operativo tutti i grandi player industriali per capire «che fare», la fetta consistente di Pil lucano rappresentata dal settore dell’energia rischia di essere ulteriormente compromessa dagli effetti di un’ormai inevitabile e progressiva chiusura del Paese.
La crisi morde, il disagio si allarga, lo scontro sindacale in Val d’Agri pure, con toni che venerdì scorso, durante lo sciopero ai cancelli del Cova, non ha risparmiato invettive in libertà contro Confindustria ed Eni, con atteggiamenti e linguaggio che sembravano essere scomparsi dal panorama delle relazioni sindacali degli ultimi anni.
Al centro dello scontro la questione del patto di sito che non sarebbe stato rispettato – a detta degli scioperanti (una cinquantina hanno aderito con un gruppo di prima fila di una decina di persone su un indotto Eni di oltre mille occupati) - in alcune vertenze delle società contrattiste determinando, nel cambio di appalto dei servizi forniti, la fuoriuscita di alcuni lavoratori. Ma cosa dicono i numeri e quali sono i «focolai» al centro della grande vertenza indotto? Nel periodo tra settembre 2019 e ottobre 2020 tra la uscente Ram e la subentrante Termomeccanica (prima Revisud) è stato garantito il passaggio occupazionale di dodici unità lavorative su dodici; a ottobre 2020, nel passaggio dalla Impes-Eletecno alla Ramunno non si registrano esuberi; nel settembre 2020 nel passaggio dalla Elettra alla Lux sono stati riassunti quattro lavoratori su quattro; nel marzo 2019 la Sicilsando subentrante alla Bng ha riassunto 40 lavoratori su 45, con un delta di cinque persone all’epoca prossime alla pensione.
La vertenza Termomeccanica si è chiusa senza condivisione delle organizzazioni sindacali nonostante mesi di trattative, pur con l’impegno dell’azienda a riassumere dodici unità professionali già occupati alla Ram nonostante l’esito della vertenza senza accordo consentisse di rivolgersi al libero mercato. Parliamo del grande settore delle forniture di servizi al Cova, per lo più aziende metalmeccaniche vincolate a vecchie contrattazioni che tra l’altro nel passaggio da società a società sarebbero tenute «preferibilmente» (e dunque non obbligate) ad assumere gli stessi lavoratori.
Allo stato dell’arte tra esigenze sociali da garantire, l’affanno delle imprese, le misure pubbliche di sostegno tutte da rivedere, il rischio è che la mancanza di vantaggio industriale, in un clima difficile da governare e che non tiene conto delle difficoltà oggettive, possa determinare una chiusura più che un allargamento delle attività produttive.
Del resto del contesto produttivo pre Covid – forzato anche dal blocco dei licenziamenti – resta in realtà ben poco e uno strumento rigido come il patto di sito, concepito in momenti di migliore economia, non aiuta a trovare soluzioni straordinarie per un tempo eccezionale. Anche la vertenza delle Officine D’Andrea si muove sul terreno aspro delle rivendicazioni che include nella trattativa aspetti che in altri momenti sarebbe stato naturale portare a un tavolo di confronto (per esempio l’indennità di doppio turno) ma che oggi rischiano di concentrarsi sul dettaglio e di smarrire la bussola delle priorità che, tra ammortizzatori sociali, cassa integrazione e un futuro incerto, significa solo salvare il salvabile. La convocazione da parte della Regione per un tavolo di confronto il 29 ottobre prossimo ha fermato per qualche giorno il fronte della protesta. Il contesto non è dei migliori, con toni movimentistici (la protesta è guidata da Fim, Fiom, Uilm) e che mette sotto accusa «i padroni» che lesinerebbero pochi soldi equivalenti a qualche goccia di petrolio, insensibili anche al destino dei pescatori bloccati in Libia dove Eni, noncurante dei destini del mondo, continuerebbe a estrarre senza amor di patria. A chi giova il protagonismo delle parole in libertà? La Basilicata, come il resto d’Italia, è a un passo dalla chiusura di cui è impossibile prevedere gli effetti. Tra lavoro che bisogna proteggere e produzione che non si deve perdere c’è bisogno di tutto lo sforzo per «il ripristino di attività – chiedono Fim, Fiom, Uilm – al fine di consentire l’azzeramento degli ammortizzatori sociali e il mantenimento dei livelli occupazionali».
Un obiettivo legato oggettivamente a molte variabili. La Basilicata con le sue risorse può però giocare in vantaggio sulle altre regioni. Con più realismo e meno tensioni.