Potenza - Più di 112 anni di reclusione e oltre 2 milioni e mezzo di sanzioni amministrative, ma ancor di più, sotto il profilo economico, la confisca per equivalente degli illeciti profitti ottenuti con lo smaltimento irregolare di acque di strato con la reiniezione (tra i 44 e i 114 milioni di euro) e il trattamento in impianti non autorizzati (tra i 10 e i 37 milioni di euro). È la richiesta della pubblica accusa, rappresentata dalla Pm Laura Triassi, al collegio penale di Potenza presieduto da Rosario Baglioni per il troncone Eni del Petrolgate, che si occupa di emissioni in atmosfera, reiniezioni nel sottosuolo di acque di strato (secondo l’accusa) miste a rifiuti del processo di lavorazione e smaltimento degli stessi reflui con codici diversi (indicante un minor rischio secondo l’imputazione) presso impianti lucani (Valbasento) e non.
La richiesta è arrivata ieri dopo quella che non è errato definire una vera e propria maratona oratoria del Pm che ha impegnato circa 8 ore e due udienze per «riassumere» ha spiegato la stessa Triassi, le conclusioni rassegnate in forma scritta in un tomo di 189 pagine firmato anche dal Procuratore della Repubblica Francesco Curcio.
Le pene più pesanti sono state quelle chieste per le primissime linee del cane a sei zampe , ossia i dirigenti accusato di aver gestito la errata codifica dei rifiuti e la conseguente reiniezione, per un verso, o di aver taciuto quei problemi di trascinamento di ammine che portavano ad emissioni anomale. Per loro la richiesta è di 4 anni e sei mesi di reclusione. La stessa pena chiesta anche per colui che doveva definire i sistemi di controllo, il dirigente regionale Salvatore Lambiase a cui i consulenti della Procura, nel corso delle udienze in cui si è sviluppato il processo, hanno addebitato la colpa di aver messo su un sistema farraginoso.
Ma sono pesanti anche le richieste (4 anni di reclusione) per tutti quanti sono accusati di aver in qualche modo partecipato all’illecito smaltimento dei reflui in impianti non autorizzati o, comunque, con un trattamento per rifiuti meno pericolosi di quanto, ad avviso della Procura, erano in realtà. Condanne più lievi, infine, per i dirigenti Arpab, ma comunque la conferma che per la Procura i controlli non hanno funzionato.
Certo, si tratta solo di richieste di cui si continuerà a discutere nelle prossime udienze a partire dal 22 luglio. Ma considerato che toccherà prima parlare alle tantissime parti civili e solo a settembre inizieranno le discussioni dei difensori, per gli imputati una spada di Damocle che penderà sulla testa per l’intera estate. In attesa della decisione dei giudici.