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Potenza, i medici si ribellano contro i «baroni» dell’ospedale S. Carlo

 
Luigia Ierace

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Luigia Ierace

Appalti al San Carlo  sei persone a processo

L'accusa: «In sala operatoria vanno sempre gli stessi». La direzione apre un’indagine interna

Venerdì 04 Ottobre 2019, 10:55

POTENZA - «È sempre stato così. La medicina è in mano ai “baroni” e a pochi eletti». È una rassegnazione diffusa che serpeggia tra medici e chirurghi e non solo nella più grande azienda ospedaliera regionale, il “San Carlo” di Potenza. «Non succede solo qui, ma dovunque in Italia. Non c’è da meravigliarsi. Nulla di nuovo. Lo sanno tutti. Il mondo va così».
Rassegnati, stanchi, ingabbiati in una routine ritenuta immodificabile finiscono per subire impotenti situazioni che li penalizzano, qualcuno prova a tutelarsi da solo adendo le vie legali. Ma un gruppo di giovani medici chirurghi del “San Carlo” ha deciso di ribellarsi ai cosiddetti “baroni”, quei primari (ora si chiamano direttori di Unità operative complesse) che finiscono per decidere il loro futuro affidando mansioni e incarichi, imponendo turni operatori e offrendo o meno opportunità di crescita e formazione professionale.

La lettera A dare loro voce è il segretario regionale dei giovani dell’Anaao-Assomed Basilicata nonché segretario aziendale del “San Carlo”, Giovanni Iside, Dirigente medico nell’Uoc di Chirurgia generale e d’urgenza, in una lettera inviata ai Direttori Generale e Sanitario, Massimo Barresi e Rosario Sisto, alla Direzione del Dipartimento Chirurgico e alla Direzione Uoc Chirurgia generale e d’urgenza e all’Ufficio relazioni sindacali, in cui denuncia « le reiterate gravi anomalie concernenti la disomogenea distribuzione qualitativa e quantitativa delle attività chirurgiche e di copertura assistenziale nel Dipartimento chirurgico».

I colleghi Quarantaduenne, laureato e specializzato in Chirurgia generale, il dottor Giovanni Iside dal 2013 è in servizio al “San Carlo” di Potenza. Dal mese di luglio scorso la carica sindacale in Anaao-Assomed Basilicata, organizzazione che a livello nazionale ha già avviato questa battaglia. È stata soprattutto la spinta dei colleghi, che gli ha permesso di trovare la forza per andare avanti e portare alla ribalta «questo malessere diffuso e sommerso, questa forma di sudditanza che colpisce soprattutto i giovani e che si rileva di più nelle branche chirurgiche, proprio perché richiedono una maggiore manualità, alla base della crescita di un chirurgo».
Purtroppo ancora oggi sono tante le “giustificazioni” dietro le quali i cosiddetti “baroni” si mascherano ritenendo che un giovane medico, e talora il riferimento è anche a 50enni, non siano all’altezza di fare un intervento chirurgico, dimenticando che, invece, è un obbligo dare la possibilità alle nuove leve di formarsi.
«Non si tratta certamente - sottolinea l’esponente dei giovani di Anaao-Assomed Basilicata – di favorire qualcuno rispetto a qualche altro e decidere se farlo crescere o no, ma di implementare le capacità di un’intera équipe. Si tratta di una scelta di qualità tesa ad offrire agli utenti un servizio migliore».

Le nuove leve È un cambio di rotta, uno scatto generazionale dei camici bianchi del “San Carlo” che si fanno coraggio e chiedono di «investire sui giovani, sulle nuove risorse e di bloccare quello che è stato un metodo arcaico di un sistema che ha favorito anziani medici e direttori».
Prima di intraprendere questa battaglia e di mettere tutto per iscritto, ribadisce il dottor Iside, «ho avuto la solidarietà degli altri sindacati. La verità è che fino ad oggi sono molti quelli che non hanno agito ma solo per timore di “ritorsioni” o per non creare conflitti interni. Ma a parlare sono i dati: in un mese c’è chi ha operato 20 volte e chi una sola volta. E questa situazione mortifica chi ha studiato per anni per essere poi relegato a non fare il chirurgo, ma a scrivere solo le cartelle cliniche o limitarsi al ruolo di medico di reparto. Un modo di fare che lede la qualità del servizio che viene offerto all’utente e impedisce la reale crescita del medico. Per non parlare poi dell’aspetto economico».

Turni operatori Un quadro che emerge in maniera puntuale nella lettera. «Nell’Uoc di Chirurgia Generale e di’Urgenza da anni vengono applicati differenti criteri di distribuzione dei carichi di lavoro sia in reparto che in sala operatoria, come attestato dai relativi registri operatori nonché dalle turnazioni di riferimento, creando di fatto uno squilibrio per qualità e quantità delle mansioni tra i dirigenti medici».
Una «disomogenea distribuzione qualitativa e quantitativa dei turni di servizio, e in particolare di quelli di sala operatoria» che «ha creato una situazione di stallo formativo/professionale a scapito di alcuni dirigenti medici, a cui vengono riservati, senza giustificato motivo, in modo programmato solo interventi di media e piccola complessità limitando indiscutibilmente l’up-grade formativo».

Danno formativo Un’organizzazione del lavoro che finisce per privilegiare o esonerare da alcune mansioni alcuni dirigenti medici rispetto ad altri «creando di fatto danno formativo nonché erariale». E nonostante, negli anni, tale situazione sia stata segnalata in «via bonaria» a vari livelli dirigenziali, nessun provvedimento è stato adottato e «continuano a sussistere tali disparità di mansionamento».
Di qui, anche alla luce dei «vincoli contrattuali a cui devono attenersi i direttori di Uoc, in particolare per quanto concerne la equa distribuzione dei turni di servizio e di sala operatoria», le istanze di Anaao-Assomed, che in particolare chiedono ai vertici del “San Carlo” la messa in atto delle procedure ritenute «più idonee a evitare che i suddetti illeciti continuino a verificarsi in futuro» e «al recupero del gap-formativo da parte dei dirigenti medici maggiormente penalizzati da tale situazione».
Migrazione medici La lettera dell’Anaao-Assomed lucana si conclude con l’auspicio di «un tempestivo ed efficace intervento risolutivo, in un momento in cui l’Azienda si trova già di fatto a dover affrontare non solo un salto generazionale importante, ma una tendenza crescente a richiedere trasferimenti presso altre aziende fuori regione» e «con la certezza di non dover essere costretti a perseguire simili illeciti con ulteriori mezzi, anche di tipo legale».

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