Coronavirus in Basilicata, 62 positivi e 2 decessi. Regione resta in zona gialla
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Sono sotto processo
08 Aprile 2018
L’ombra che tra i carabinieri del Vulture-Melfese possano essersi annidate delle mele marce. Militari che avrebbero favorito chi gestiva un giro di spaccio di stupefacenti. La vicenda risale a metà anni 2000 ma non se ne è avuta mai notizia perché l’Arma, a cui va il merito di aver scoperto il caso, ha per ovvi motivi tenuto la questione riservata. Ma mentre è in corso il processo penale, passato dal Tribunale di Melfi a quello di Potenza, la questione viene alla luce a seguito di una decisione del Consiglio di Stato.
I militari sono accusati di concussione e rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio. Un primo rinvio a giudizio venne annullato e si è giunti al processo solo con una decisione del Gup di marzo 2010. L’Arma ha disposto la sospensione dei militari, contro la quale uno di loro ha ricorso prima al Tar del Molise (dove era stato trasferito) e poi al Consiglio di Stato, che lo annullò per vizi formali. Ma c’è stato un nuovo provvedimento di sospensione, impugnato nuovamente, ma in questo caso il ricorso è stato sia dal Tar che in appello. «La natura precauzionale e preventiva del provvedimento di sospensione precauzionale dal servizio - hanno osservato i giudici - l’ampia discrezionalità riconosciuta in merito all’Amministrazione, la gravità dei reati contestati, la particolare rigidità dell’etica richiesta ad un appartenente all’Arma dei carabinieri rendono non decisiva, in senso contrario, la mancata applicazione di misure custodiali e la (relativa) risalenza dei fatti». E a poco è valsa anche la tesi dei difensori che il militare «non avrebbe avuto contatti diretti con malavitosi, tanto che gli verrebbe contestato di avere favorito l’attività criminale per così dire “operativa” degli altri due co-imputati, cui egli sarebbe, invece, rimasto fisicamente estraneo». La sua posizione, aveva già osservato il Tar, riguarda «fatti aventi possibile rilevanza penale suscettibili di ledere il prestigio dell’Arma dei Carabinieri e di minarne la credibilità».[g.riv.]
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