«Kebab» in arabo significa “carne arrostita” (viene chiamato anche «kabab», «kebap», «shawerma» o «ghiros») e in Turchia viene anche definito «kebab da passeggio», per l’abitudine di mangiarlo mentre si cammina per strada. Ma se trovate scritto su tutte le insegne «Döner kebab», il significato letterale è «kebab che gira», perché la cottura della carne (può essere montone, agnello, manzo, vitello, pollo, tacchino o una combinazione di tutte queste) avviene attraverso un gigantesco e caratteristico spiedo vert icale. La carne viene tagliata a fettine, sagomata, e marinata con una mistura di erbe e spezie che variano a seconda del paese; poi viene infilata nello spiedo verticale fino a formare un grosso cilindro, sulla cui sommità vengono infine infilzate parti grasse che, sciogliendosi con il calore, scivolano sulla carne, conferendole un gusto particolarmente saporito ed evitandogli un'asciugatura e un indurimento eccessivo.
Poi la carne, a scelta del cliente, viene servita in un panino di qualsiasi tipo, accompagnata da varie verdure (insalata, pomodori, cipolle, melanzane, peperoni grigliati, ecc.) e salse per tutti i gusti (tra cui la piccante «harissa», a base di peperoncino rosso fresco, aglio e olio d'oliva o una a base di yogurt, prezzemolo e sesamo).
Si contano attualmente 112 specialità di kebab. L’Europa occidentale è oggi invasa da questo alimento: in Germania il kebab spopola e il business supera di tre volte quello del McDonald, in Inghilterra ha soppiantato anche il tradizionale fish&chips e in Italia continua ad espandersi a macchia d’olio con una strategia di marketing molto aggressiva. Non occorre uno scienziato del nutrizionismo per immaginare la bomba calorica rappresentata da un kebab bello farcito: sale e grassi saturi abbondano, ma il panino piace moltissimo e soprattutto è un pranzo completo e super economico (la media di un kebab normale è intorno ai 3 euro).
[l. cost.]