«E il mio maestro mi insegnò com’è difficile trovare / L’alba dentro l’imbrunire». La strofa finale di Prospettiva Nevski scritta da Franco Battiato in sodalizio con il violinista Giusto Pio (1980), ieri ha fatto da refrain nel tributo collettivo all’immenso artista siciliano, scomparso a 76 anni nella sua villa di Milo sulle pendici dell’Etna e con lo sguardo a perdita d’occhio verso lo Ionio. Un’ondata emotiva con pochi precedenti, forse pari solo a quelle suscitate per De André e Dalla. Tra i primi a citare Prospettiva Nevski, è stata l’editrice Elisabetta Sgarbi, grande amica di Battiato, che ha scritto su Twitter: «Mi hai insegnato a cercare l’alba dentro l’imbrunire. Oggi è difficile ma per te ci proverò». Una frase bellissima - come sempre i testi del Nostro e basti pensare all’impareggiabile La cura del ’96 - che proietta quanti l’ascoltano nelle infiammate atmosfere rivoluzionarie di San Pietroburgo (cercate su YouTube il video dell’85 in cui il brano è cantato da Alice o il duetto tra lei e il suo mentore del 2016, entrambi da brividi).
Ma «l’alba dentro l’imbrunire» è altresì valido in diversi contesti e stagioni. Può evocare, per esempio, «il pessimismo dell’intelligenza e l’ottimismo della volontà» formulato nel 1920 da Antonio Gramsci, che a sua volta riprese una definizione dello scrittore francese Romain Rolland, orientalista ed esperto di letteratura russa e di musica, con una propensione per Stravinskij, cui Hesse dedicò la prima parte di Siddhartha. Noi personalmente la scegliemmo come incipit di una «Lezione di Storia» della Laterza intitolata La scoperta del Sud a partire da «Cristo si è fermato a Eboli» di Carlo Levi (Petruzzelli 2018), perché nel legame del pittore, scrittore e medico ebreo torinese con il Sud, tutto si tiene e in effetti si crea «tra albe e tramonti», per dirla con il ciclo fotografico che nel 1982 il fotografo Luigi Ghirri avrebbe dedicato alla Puglia.
Prospettiva Nevski evoca – con la vena zen e il candore fuori dal mondo del cantautore più proteso a Levante – un crepuscolarismo non rassegnato, l’indomito infuriare contro il morire della luce espresso dal poeta gallese Dylan Thomas nella poesia Non andartene docile in quella notte buona. E lo stesso Igor Stravinskj, citato nel testo di Battiato, avrebbe scritto una composizione in morte di Thomas. Ecco, il catanese Battiato è stato partecipe di una storia più larga e più umana del suo stesso genio musicale, autentico protagonista di un Sentimiento Nuevo anche per il nostro Sud: «Ed è bellissimo perdersi in quest’incantesimo...».
Laddove la «questione meridionale» era magnetizzata dal Nord e da un secolare complesso d’inferiorità verso la stella polare dello sviluppo, ormai da alcuni decenni il Mezzogiorno più consapevole di sé individua quali riferimenti essenziali altri Sud o un immaginifico Oriente, praticando ibridi linguistici, musicali e simbolici. Così la Storia, la «grande improvvisatrice» di cui parlava il medievista pugliese Cinzio Violante, capovolge la geografia, e viceversa. Nel sincretismo mediterraneo che ritroviamo in esperienze artistiche e filosofiche assai differenti si cela un decisivo cambio di passo: il cinema di Angelopoulos e Martone, i libri di Predrag Matvejević e Franco Cassano, l’arte di Paladino e Kounellis, la musica di De André e Battiato, appunto. Il vecchio Sud finisce paradossalmente lungo il Corso Neva di San Pietroburgo o vagando per i campi del Tennessee («Come vi ero arrivato, chissà»).
La nostra generazione scoprì Battiato nel raduno della controcultura di Parco Lambro a Milano nel 1975: tette al vento e tanta musica pop rock o chissà, una sorta di Woodstock meneghina. Qualche anno dopo scocca L’era del cinghiale bianco, poi il ciclone dei brani de La voce del padrone. Erano i tempi dei cantautori impegnati (Gaber, Guccini, De Gregori, Dalla, Venditti), tuttavia Battiato citava Leopardi e Pascoli, Proust e Guénon. Era già un compositore esoterico, un pensatore sciamanico, un alchimista rispetto alla crisi della Ragione, in controtendenza rispetto al ribellismo marxisteggiante che andava per la maggiore. La svolta eremitica si radicalizzerà in seguito grazie all’incontro con il filosofo conterraneo e «adelphiano» Manlio Sgalambro, che secondo Massimo Cacciari in fondo non ha giovato al cantautore: «Sgalambro era uno schopenhaueriano e questo filone sostanzialmente pessimistico un po’ ha fatto perdere a Battiato quella vena di dissacrazione, la carica ironica, a volte anche assolutamente scanzonata».
Ricordiamo il giudizio netto di un nostro giovane amico nei primi anni Ottanta: «Ma che inseguite le canzonette, Battiato ha studiato con Karlheinz Stockhausen e conosce John Cage». Vero. Era un musicista colto, tenace, sempre in cerca dell’essenziale. Pure il cinema entra nel suo orizzonte dal 2003 in avanti con prove radicali da regista quali Perdutoamor, Musikanten, Niente è come sembra, La sua figura (dedicato a Giuni Russo) o Auguri don Gesualdo, documentario sulla vita di Bufalino. Intanto il film-maker barese Mario Tani e Giuseppe Pollicelli firmano nel 2013 Temporary road – (Una) vita di Franco Battiato.
Invitammo Franco Battiato in una rassegna ideata insieme a Silvio Danese e Pier Giorgio Carizzoni, «Frontiere – La prima volta», nel 2011 a Bari. Venne a presentare un suo libro-dvd, ma il giorno dopo non andò via, fermandosi ad ascoltare il concerto di Antony and the Johnsons concepito per «Frontiere» con l’orchestra del Petruzzelli. Era mosso da una curiosità inesausta, che nel caso di specie due anni dopo avrebbe dato vita all’album Del suo veloce volo, contenente i pezzi eseguiti dai due artisti e da Alice nel concerto del 2 settembre 2013 all’Arena di Verona. La voce d’angelo di Antony, star androgina di un mondo nirvanico, in accoppiata con Battiato, guru sufico o derviscio cantante (nonostante una breve e tempestosa esperienza come assessore regionale siciliano).
Fino a poco prima di ammalarsi, Battiato è stato in grado di tenere il palco con un carisma mistico e sensuale, una mimica icastica persino stando seduto, sempre elegantissimo, empatico eppur «assente», una voce siderea giunta da «mondi lontanissimi». E ti vengo a cercare, Bandiera bianca, Voglio vederti danzare, per non dire di Cuccurucucu e Centro di gravità di permanente... Quanto ci mancherai, Maestro.