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Enrica Simonetti
16 Gennaio 2021
Sotto un cappellone da cowboy c’è una testa geniale, capace di farci sorridere anche su ciò che ci fa piangere. Nico Pillinini, il vignettista della «Gazzetta» che ogni giorno accompagna le notizie del nostro giornale, è un vero personaggio da conoscere. Sul suo profilo WhatsApp appare una vignetta della sua infinita «collezione»: due mosche che si sdraiano sulla carta moschicida e dicono «E chi si stacca da qui?».
Ecco, Pillinini è un po’ così, è tutt’uno con le sue vignette e al tempo stesso lo siamo noi, incollati pagina per pagina a questo libro appena uscito da Progedit, dal titolo Coronarisus. Il virus infetto della politica, con prefazioni di Moni Ovadia e Dario Ballantini (pagg. 208, euro 15).
Ci sentiamo attaccati a questa carta colorata, che racconta noi nell’ultimo anno, noi pandemici, noi esiliati nelle case, noi a guardare un teatrino come quello della politica, l’ultimo rimasto aperto da quando sono chiusi i teatri veri. E se ripensiamo a quelle mosche che praticamente muoiono sulla carta moschicida ma nel frattempo si beano come se stessero stese al mare a prendere il sole, capiamo bene che così siamo noi, pronti a sorridere sul virus killer, che Pillinini trasforma in ironica narrazione del Belpaese, di come siamo fatti e di come guardiamo al futuro.
«Non so se una risata ci seppellirà: in ogni caso è preferibile che a seppellirci non sia un virus», dice «Pilli» e ad ogni pagina lo sentiamo accanto a noi, con quel guizzo degli occhi azzurri, con quel tratto di matita che da decenni tutti ormai conoscono. Sì, perché Nico Pillinini è uno storico: la satira è storia, è narrazione della nostra era e in questo volume c’è proprio un diario del mondo 2020, carico di beffa, ma anche di umanità.
«Farmaci salvifici» definisce Moni Ovadia nella sua prefazione i modi di rappresentare la realtà messi in atto da Pillinini ed è verissimo. Perché si sorride, sempre, anche quando il vignettista disegna la sfilata di bare, i cerchi olimpici «scacciati» dal virus o un Giudizio Universale della Cappella Sistina con guanti di poliuretano, con le due dita che si sfiorano, con il contatto del contagio. Le didascalie sono una scelta editoriale valida, perché ogni vignetta ha la sua data e la sua cronaca, cosa che rende questo «zibaldone» una guida all’anno passato e a quello che verrà, tra eventi politici e scorciatoie immorali di cui Pillinini racconta passo dopo passo le radici e i risvolti.
Pasqua, aprile 2020. Ecco la lavanda dei piedi del «CoronaJesus» con la domanda «Maestro, non hai usato l’amuchina?»; o più avanti, al ponte del primo maggio, ecco il premier Conte appeso tra due rocce, in bilico tra fase uno e fase due. Sì, Conte è uno dei personaggi che Pillinini meglio ritrae: il premier e i colori delle regioni, il premier e la sua altalena a cavallo di un’era pandemica unica. L’asporto? Il caffè preso all’aperto fuori dal bar?
Per Pillinini, in una bellissima vignetta che ritrae tre persone con mascherina e panchina provvisoria, è come «un bacio senza lingua». Anche la crisi della Gazzetta è nelle vignette del nostro, tanto che a maggio 2020, quando l’ex editore Ciancio esplicita il suo totale disinteresse per il giornale, Pillinini lo disegna mentre abbandona la nave-Gazzetta e la mitica frase «Torni a bordo, cazzo» che ricorda il comandante Schettino della terribile vicenda della «Concordia».
Ancora Conte: eccolo che dice «Movida? Mo’ vedi!» e chiude mezza Italia, anzi tutta l’Italia. Per non parlare di Lopalco e delle elezioni regionali, evocate il 29 luglio quando l’assessore si salva saltando la doppia preferenza di genere: c’è un palco rosso da teatro e i commenti «Il solito siparietto».
Nico Pillinini - sono parole di Moni Ovadia - si esprime sempre con acuta intuizione che gli permette di misurarsi con un ampio spettro di situazioni provocate dal Covid stesso ma più ancora con le reazioni che il Covid provoca, rivelando talora il ridicolo, altre volte il paradosso, lo spaesamento, l’ilarità, il non-senso.
E in questa forza c’è tutta l’ironia di un vignettista che da Taranto ha cominciato a raccontare il Sud e non solo. Nico, dopo l’Accademia di BelleArti di Bari e diverse collaborazioni a Il Quotidiano di Lecce e Satyricon di Repubblica, è approdato alla Gazzetta nel 1983 e da allora è una firma quotidiana, un editorialista vero che ogni giorno commenta e dice la sua, ci porta a sorridere e a vivere quella meraviglia che è l’ironia, sorella dell’intelligenza e quindi non sempre diffusa come dovrebbe. E se non ci fosse la satira, dove potremmo più specchiarci?
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