Doppio sequestro per il dipinto olio su tela Superficie 223. Una ragione giuridica in più perché l’opera del maestro Giuseppe Capogrossi non si muova da lì dove si trova e cioè nella Pinacoteca provinciale di Bari. Dopo il sequestro giudiziario disposto dal Tribunale civile di Bari che nel 2019 aveva accolto il ricorso d’urgenza presentato dalla Città Metropolitana (poi confermato nell'agosto successivo), infatti, sulla tela che può vantare una storia degna di un film, è scattato adesso anche un sequestro penale.
A disporlo, accogliendo l’istanza dell’avvocato Roberto Tartaro, che assiste la Città Metropolitana, la Corte di Cassazione. Anche per il Supremo Collegio, insomma, in attesa che la giustizia civile stabilisca nel merito chi ha torto e chi ha ragione sulla titolarità, il dipinto deve rimanere lì dov’è, custodito nella Pinacoteca di Bari che aveva lasciato il 16 maggio 1957, per farvi ritorno nel febbraio 2019 da Latina l’ultimo dei suoi lunghi viaggi.
Ripercorriamo allora le tappe principali di una storia degna di un romanzo. L’opera era stata acquistata dalla Pinacoteca provinciale per 500mila lire in occasione della VII Mostra nazionale di pittura contemporanea «Maggio di Bari», tenutasi nel Castello Svevo. Risulta iscritto al numero 610 dell’inventario della Pinacoteca. Erano gli anni in cui la prestigiosa manifestazione era il fiore all’occhiello di una città che pensava in grande. Sette anni dopo, nel 1964, il dipinto fu donato all’allora assessore Vincenzo Mitolo. Un regalo, però, ritenuto illegittimo perché, essendo stato acquistato con fondi pubblici, faceva parte del patrimonio dell’ex Provincia e il Consiglio provinciale del 1964 non aveva alcun titolo per decidere di regalarlo ad un assessore.
Alla morte dell’amministratore, il dipinto fu venduto dal figlio a un collezionista. Di qui finì a una casa d’aste che ne curò la vendita nel 1991 in favore di un 82enne campano residente in Svizzera. Dunque, nuovo passaggio di proprietà con Superficie 223 che viene acquistato per 160mila euro da un altro gallerista, un 57enne di Latina. Quest’ultimo, tra le «vetrine» utilizzate per esporre il quadro, utilizza anche il sito web. Ed è così che nel settembre 2015 i carabinieri del nucleo Tutela patrimonio culturale riconoscono il dipinto e lo sequestrano. Ma risulta che entrambi i galleristi avevano acquistato il quadro del pittore romano senza sapere che, più di cinquant’anni prima, apparteneva alla Pinacoteca di Bari. Al termine di un procedimento penale durato tre anni, a parte l’archiviazione per i due collezionisti accusati di ricettazione, il giudice per le indagini preliminari di Bari aveva anche concluso per la «sdemanializzazione» del bene, a suo giudizio non più pubblico. Il clamore della notizia suona la carica alla Città metropolitana che durante il procedimento non si era costituita per rivendicarne la proprietà, salvo poi attivarsi. Eccome. Lo studio Legal Unity con il prof. avv. Domenico Costantino e l’avvocato Francesco Paolo Perchinunno presentano al Tribunale civile di Bari un ricorso d’urgenza, chiedendo e ottenendo il sequestro del dipinto. I legali, con il custode giudiziario, avvocato Rossella Malcangio e un esperto d’arte, materialmente acquisirono l’opera a Latina per riportarla a Bari. Il trasporto del dipinto imballato con tanta attenzione e cautela, avvenne sotto la responsabilità degli agenti della Polizia metropolitana.
La tesi sostenuta è che il bene era stato ceduto illegittimamente sottraendolo dalla disponibilità dell’Ente. Del resto, ai sensi del codice civile, le raccolte dei musei e delle pinacoteche, fanno parte del demanio pubblico. E come tale, non può essere venduto. Qualsiasi atto di disposizione, di conseguenza, è nullo. Una tesi condivisa dal Tribunale civile nella fase sommaria ma anche dopo, in quella di cognizione. Adesso, dunque, il nuovo sequestro, quello preventivo disposto in sede penale. Sino a quando la giustizia civile non deciderà sulla titolarità del dipinto, Superficie 223 non si muoverà da lì, sia pure imballato e non visibile al pubblico.