Tredici minuti ruvidi, un’impennata di dialoghi tesi e accesi in grado, da soli, di distruggere tutto ciò che «chiamano amore». Eppure a dare il colpo finale non saranno solo le parole. Con 11 milioni e 200 mila visualizzazioni (nelle ultime due settimane più di 10mila visualizzazioni al giorno) al momento il corto più visto al mondo non solo è italiano, ma porta la firma del regista gravinese Domenico Laddaga, che ha diretto e scritto «They call it love» (Lo chiamano amore).
«La notizia più incredibile è che un paio di produzioni internazionali (India e Stati uniti) mi hanno contattato perché interessate al corto. Stiamo valutando le opzioni per questo progetto che dopo quasi 7 anni è tornato come un boomerang a far parlare di sé. Un progetto nato per gioco ma realizzato con tanto amore e professionalità» racconta il regista di quella immersione «senza portafoglio» nel genere horror, una scossa sismica per lo spettatore. «È nato come progetto finale della scuola di regia che ho frequentato nel lontano 2013- continua Laddaga ripercorrendo quei mesi in cui lavorava al corto prendendo le distanze da previsioni troppo ottimistiche- È stato praticamente un lavoro low budget anzi direi no budget, costato in tutto 500 euro. Il risultato tecnico è stato sorprendente, nonostante le attrezzature improvvisate».
Per questo la notizia che lo ha raggiunto qualche ora fa era di quelle che proprio non si aspettava. «All’epoca, il 2013, ho inviato il corto esclusivamente a due festival, un festival horror, il FIPILI Horror Festival, e il Festival del Cinema Europeo di Lecce - spiega - Il corto è stato selezionato in entrambi i festival. In seguito non mi sono più occupato della distribuzione a causa di altri impegni. L’unica operazione che ho fatto è stata quella di caricarlo su Youtube». Per anni le visualizzazioni sono state «normali», quelle che di solito i cortometraggi italiani riescono ad ottenere sul web. «Il miracolo è avvenuto pochi mesi fa - continua Laddaga - d’un tratto il corto ha cominciato a fare migliaia, poi centinaia di migliaia e in seguito milioni di visualizzazioni senza che avessi fatto nessuna campagna web. All’inizio non ho dato peso alla cosa, pensando si trattasse di qualche bug o non so cosa, ma quando sono iniziati a fioccare migliaia di commenti, iscritti al mio canale Youtube, ho capito che il corto era diventato virale».
Una scalata che ha la forza degli avvenimenti spontanei. «Ad oggi “Lo chiamano Amore” è il cortometraggio italiano più visto al mondo. Ed è solo merito del prodotto artistico - aggiunge il regista - La cosa mi riempie di orgoglio e, soprattutto, di tanta forza per ricominciare a fare progetti nell’ambito cinematografico che da un po’ avevo trascurato dedicandomi più al teatro». E i dettagli rendono ancora più sensazionale il risultato. «Ho ripreso un monologo scritto all’età di 20 anni (quello che recita la voce off di Terry alla fine del corto) - continua - e ho sviluppato una breve storia che servisse da sfondo alle atmosfere tenebrose, drammatiche, tese e a tratti splatter che volevo caratterizzassero l’opera.
Fortunatamente, ho potuto circondarmi di artisti straordinari che hanno contribuito alla riuscita del progetto: la fotografia cupa ed espressiva di Guy Lumer (mio compagno di corso, israeliano), le musiche angoscianti e allo stesso tempo delicate e struggenti che Marco Cucco (lucano) ha composto appositamente per il corto, gli effetti speciali perfettamente riusciti di Paola Emos Mattiace (lucana) e la scenografia scarna e fortemente realistica di Silvia Colafranceschi (romana, al tempo ancora alunna del Centro Sperimentale). Per il ruolo principale non ho avuto dubbi, sapevo che l’unica attrice in grado di supportare e sopportare il complicatissimo ruolo (sia a livello emotivo che tecnico) fosse Terry Paternoster, anche lei gravinese. Senza di lei il risultato non sarebbe stato lo stesso. Per gli altri ruoli, tre attori professionisti, Irma Carolina Di Monte, Salvatore Langella e Gianluca Preite, non hanno avuto esitazione nell’accettare la proposta, seppure le pose non fossero tantissime» conclude Laddaga in pieno turbinio di contatti e progetti legati a «Lo chiamano amore».