Capurso non è soltanto un luogo geografico della Puglia. È una soglia, un punto di attraversamento tra ciò che l’uomo riesce a spiegare e ciò che può solo affidare. Qui, alle porte di Bari, da oltre tre secoli il Santuario della Madonna del Pozzo custodisce una storia che non appartiene al passato, ma continua a rinnovarsi nel presente: nella vita quotidiana delle persone, nei drammi silenziosi delle famiglie, nelle lacrime che non fanno rumore. Una storia che scorre lenta e costante, come l’acqua del pozzo da cui tutto ha avuto origine, capace di raggiungere anche i cuori più lontani. Il Santuario sorge attorno a un evento che la tradizione colloca nel 1705, ma ciò che colpisce non è tanto l’antichità del culto quanto la sua sorprendente vitalità. A Capurso la fede non è memoria cristallizzata, ma esperienza che continua a interrogare, consolare, accompagnare. Come accade a Lourdes, anche qui tutto ruota attorno a un elemento umile e universale: l’acqua. Non un’acqua miracolosa in senso magico, non una formula che promette guarigioni automatiche, ma un segno. Un linguaggio semplice attraverso cui la fede si fa gesto concreto, fiducia, abbandono. Bere quell’acqua significa compiere un atto radicale: riconoscere il proprio limite e consegnarlo a una Madre.
Il miracolo fondativo del 1705, con la guarigione improvvisa di don Domenico Tanzella, segna l’inizio ufficiale del culto della Madonna del Pozzo. È l’evento che trasforma un luogo ordinario in uno spazio riconosciuto come sacro. Ma sono soprattutto i miracoli dei nostri giorni a restituire al Santuario la sua forza più autentica. Miracoli che non cercano palcoscenici e difficilmente finiscono sui giornali. Restano spesso affidati alla voce sommessa di chi li ha vissuti: bambini guariti, malattie arrestate, diagnosi ribaltate, situazioni cliniche senza spiegazione apparente. Accanto a questi, guarigioni meno visibili ma non meno decisive: ferite interiori che trovano pace, famiglie ricomposte, persone che ritrovano la forza di attraversare una prova che sembrava insostenibile. Miracoli del corpo e dell’anima. È nella cosiddetta chiesa dei miracoli, cuore pulsante del Santuario, che queste storie sembrano trovare casa. Uno spazio raccolto, denso di silenzio, dove la sofferenza deposta diventa preghiera condivisa e la speranza prende forma concreta. Qui non si entra per curiosità o turismo religioso, ma per necessità.
Padre Filippo D’Alessandro, padre guardiano del Santuario, osserva questo flusso continuo con lo sguardo di chi accompagna senza giudicare e ascolta senza invadere. «Il bacino dei pellegrini è vastissimo - racconta - direi tutta la Puglia e anche oltre. Ogni domenica arrivano persone dal Tarantino, da Massafra, Mottola, Palagiano, dal nord barese come Corato, Bisceglie, Barletta, Gioia del Colle. Poi ci sono Bari, Triggiano, Rutigliano. Ma soprattutto arrivano persone che non hanno alcun legame con questo territorio». Ed è proprio questo l’aspetto più sorprendente: Capurso non si cerca, spesso si incontra. «Molte famiglie - spiega - mi hanno raccontato di aver conosciuto la Madonna del Pozzo in sogno. Lei si presenta, dice il suo nome, chiede fiducia. Poi queste persone, spesso disperate, cercano informazioni, trovano il Santuario e arrivano qui». Una dinamica che richiama da vicino quanto accade a Lourdes: la chiamata precede il viaggio e il viaggio diventa già parte della guarigione.
Tra i racconti che padre Filippo conserva, alcuni restano impressi per la loro semplicità disarmante. «Ricordo storie molto forti - continua - famiglie arrivate da Pescara, da Roma, dalla Sicilia. Una in particolare aveva un bambino gravemente malato. Sono venuti qui, hanno bevuto l’acqua con fede, senza pretendere nulla. Quel bambino oggi è completamente guarito». Il racconto è privo di enfasi. Nessuna spettacolarizzazione del dolore, nessuna pretesa di spiegare l’inspiegabile. Solo il rispetto per un mistero che non si lascia ridurre a cronaca.
Il pozzo esiste ancora ed è custodito all’interno di una chiesa. Oggi l’acqua che alimenta la cisterna proviene dall’Acquedotto Pugliese, perché la sorgente originaria non è più sufficiente. «Ma questo non toglie nulla al segno - chiarisce il padre guardiano - anche a Lourdes l’acqua è un simbolo. È la fede che rende quell’acqua luogo di grazia». Un’acqua che purifica, consola, accompagna. Un’acqua che non promette l’assenza del dolore, ma una presenza che non abbandona. Una compagnia silenziosa che resta anche quando la risposta non coincide con la guarigione attesa.
Questo dialogo profondo tra sofferenza e speranza trova la sua espressione più intensa nella sala degli ex-voto, annessa alla chiesa dei miracoli. Entrarvi significa attraversare una soglia emotiva prima ancora che fisica. Qui la fede smette di essere concetto astratto e diventa carne, lacrima, paura, gratitudine. Le tavole dipinte più antiche, risalenti al settecento, raccontano scene drammatiche con una forza disarmante: letti di malattia, corpi immobili, medici impotenti, famiglie inginocchiate. Dall’alto, quasi sempre, la figura della Madonna del Pozzo irrompe come una luce che squarcia l’oscurità. Non c’è retorica, solo urgenza.
Con il passare dei secoli cambiano i linguaggi: cartoncini scritti a mano, fotografie in bianco e nero di bambini guariti, volti seri che diventano sorrisi. Poi il colore, le radiografie, i referti medici, le date annotate con precisione quasi ossessiva, come a voler fissare per sempre l’istante in cui la paura si è fermata. Ogni ex-voto è un punto fermo contro l’oblio. Particolarmente toccanti sono le riproduzioni anatomiche: mani, gambe, occhi, polmoni, cuori. Un tempo modellate in cera, oggi in metalli preziosi. «Non sono oggetti superstiziosi - sottolinea padre Filippo - sono ringraziamenti. Qui la fede diventa memoria concreta. Gli ex-voto sono la predica più forte che questo Santuario possa fare».
Come a Lourdes, anche a Capurso la Madonna si presenta come madre. «La figura della mamma - spiega il padre guardiano - attira sempre, soprattutto quando la sofferenza diventa insopportabile». Oggi il Santuario è frequentato anche da molti giovani, da coppie con bambini piccoli, da famiglie che affidano alla Madonna del Pozzo ciò che hanno di più caro. È una devozione che si rinnova, che passa di generazione in generazione senza perdere forza. A Capurso la fede non è nostalgia, ma esperienza viva. Nel silenzio della chiesa dei miracoli, davanti al pozzo custodito da secoli come una ferita e una promessa insieme, tra gli ex-voto che pendono dalle pareti come preghiere sospese nel tempo, la speranza continua a scorrere. Qui il tempo sembra rallentare, quasi fermarsi, per permettere a chi entra di deporre il proprio peso senza doverlo spiegare. Non servono parole, perché ogni dolore ha già trovato cittadinanza in questo spazio sacro. La fede, in questo luogo, non urla e non pretende risposte immediate: resta, attende, accompagna. È una presenza discreta e tenace, che non elimina la sofferenza ma le dà un senso, che non promette miracoli facili ma offre una forza nuova per attraversare la prova. Anche quando la guarigione non arriva, ciò che rimane è una fiducia rinnovata, la certezza di non essere soli nel momento più buio.
















