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Con Zuppi in Ucraina il Vaticano tesse la pace possibile

 
Dorella Cianci

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Dorella Cianci

Con Zuppi in Ucraina il Vaticano tesse la pace possibile

L’unico vero tentativo mondiale per stabilire un clima di dialogo innanzitutto fra l’Occidente (invasato dalle armi) e il tessuto sociale dell’Ucraina (invasa)

Martedì 06 Giugno 2023, 09:52

09:53

La visita del cardinale Matteo Zuppi in Ucraina è l’unico vero tentativo mondiale per stabilire un clima di dialogo innanzitutto fra l’Occidente (invasato dalle armi) e il tessuto sociale dell’Ucraina (invasa). In tanti si stupiscono banalmente delle smentite arrivate prima da Zelensky e poi dal Cremlino, ma la missione del presidente della Cei è iniziata da Kiev e non si fermerà lì, proseguendo il suo cammino sotto l’insegna della non-violenza, che è molto più del semplice pacifismo, per dirla con don Tonino Bello e don Milani. Sono questi i riferimenti diplomatici di don Matteo, stretti a doppio filo con l’esperienza della Comunità di Sant’Egidio e con quelle missioni di pace, che sono innanzitutto i «corridoi umanitari» e poi quel paziente lavoro sotterraneo diplomatico (come accadde in Mozambico).

La mediazione vaticana - che passa per la Conferenza Episcopale Italiana - si muove innanzitutto sulla scia paziente del saper ascoltare le parti, del saper visitare i luoghi, come è già stato fatto più volte dall’Elemosiniere di Papa Francesco e come è stato fatto per la liberazione dei prigionieri dell’Azovstal. È evidente che gli unici veri (e non piccoli) risultati sono stati soltanto quelli promossi dal Pontefice. L’elemento autoptico e relazionale è alla base della diplomazia incaricata dalla Santa Sede, in stretto contatto con le Chiese cattoliche a Est, sia di rito latino che di rito greco e con quelle ortodosse, a cui molti di noi giornalisti – già precedentemente in missione informativa - si son potuti rivolgere, anche per raccogliere le documentazioni che, in parte, compongono il dossier verso Kiev.

Quali i dati? Innanzitutto quelli raccolti con l’ausilio dell’Osce per documentare i crimini di guerra (reciproci) con chi ha seguito quelle vicende sin dal 2014; poi anche le informazioni del movimento di pace interno all’Ucraina stesso, di cui al momento si può solo accennare e che è parzialmente in dissenso con Zelensky, ma in stretto contatto con quella parte di società civile russa (di cui Belgorod è un esempio ben lontano da quel che accade diplomaticamente fra intellettuali russi e una parte di sacerdoti ortodossi, lontani da Kirill). Non va dimenticato neanche il ruolo strategico della Crimea, dove esistono cittadini orgogliosamente russi, che però si battono per un «cessate il fuoco» quasi snobbato da Biden nella sua ultima visita in Ucraina, quando gli fu chiesto, lontano dai riflettori, un po’ di respiro per le popolazioni e per mettere a punto la proposta interna, accordandola con gli efficaci aiuti umanitari della Chiesa di Roma e con la proposta cinese (sorvegliata anche dai rapporti molto distesi, al momento, fra il Vaticano e Pechino).

E che dire di come è stato posto in un angolo Orban, dopo esser stato messo sotto gli occhi del mondo con la visita ufficiale (ma non di Stato) di Papa Francesco? Come non interpretare quella grande missione come un altro atto di pace verso l’Est, che tende, invece, a mettere la polvere sotto il tappeto? Quella missione ha responsabilizzato tanto l’Ungheria quanto la Polonia, con un sottotesto di cui il resto della diplomazia mondiale non è stata minimamente capace: «il mondo vi guarda».

E gli Usa intanto non spendono una parola sul paese Nato governato da Erdogan, che però rifiuta esplicitamente le sanzioni alla Russia. Le contraddizioni della Nato rendono pericoloso il clima a Est e il fallimento della politica internazionale fra Serbia e Kosovo è l’esempio lampante di come le armi – attive o in quiete – non diano nessuna risposta senza la creazione di un clima di vero dialogo, mediato da chi è autenticamente sopra le parti.

La missione che ha davanti il card. Zuppi è delicata, importante, umile e silenziosa (incompresa tanto all’estero quanto in Italia). In questa «guerra mondiale a pezzi», per citare la grande intuizione di Bergoglio, non va trascurato il fattore ebraico, perché gli ebrei potrebbero giocare un ruolo fondamentale tanto in Russia quanto in Ucraina, facendo leva proprio sui loro cittadini di Crimea. La storia dell’Ucraina, nel bene e nel male, è legata alla più grande minoranza presente (quella ebraica), costituita anche da tanti altri sottogruppi, tra cui i caraiti. L’analisi in ogni caso (complessa e di cui ora non si può sviluppare un ulteriore ragionamento per prudenza e serietà) è doverosa; ma poi – per ricordare un’efficace espressione inglese – un giornalista deve saper distinguere il grano dalla pula.

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