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Lecce, militare si ammala di cancro dopo le missioni estere: «L’amministrazione provi che non c’è correlazione»

 
LINDA CAPPELLO

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LINDA CAPPELLO

Lecce, militare si ammala di cancro dopo le missioni estere: «L’amministrazione provi che non c’è correlazione»

«È legittimo supporre che l’esposizione di un militare, impegnato in contesti bellici, all’uranio impoverito possa determinare l’insorgenza di patologie tumorali»

Giovedì 09 Maggio 2024, 16:38

È legittimo supporre che l’esposizione di un militare, impegnato in contesti bellici, all’uranio impoverito possa determinare l’insorgenza di patologie tumorali. Di conseguenza l’amministrazione di appartenenza non può escludere a priori questo nesso di causalità ma anzi deve eventualmente dimostrare che «tale agente patogeno non abbia determinato l’insorgere della riscontrata patologia».

Lo scrivono nero su bianco i giudici del Tar di Lecce (presidente Ettore Manca, estensore Nino Dello Preite, a latere Paolo Fusaro) nella sentenza con la quale hanno accolto il ricorso di un militare dell’esercito, che ha lamentato il mancato riconoscimento della causa di servizio in relazione alla malattia che lo ha colpito in passato. Adesso la magistratura ha intimato al Comitato di Verifica per le cause di servizio di pronunciarsi nuovamente, condannando in solido tanto il ministero della Difesa quanto quello dell’Economia al pagamento di 2.500 euro di spese legali.

Il militare nel suo ricorso ha dichiarato di aver partecipato a numerose missioni all’estero, nei territori balcanici ed iracheni, «noti per il forte inquinamento ambientale cagionato anche dalla contaminazione da polveri sottili derivanti dall’uso di armamenti con uranio impoverito». Si tratta di un impiego durato diversi mesi - ad intervalli di tempo - nell’arco complessivo di oltre dieci anni, dal 1997 al 2009. Nel 2016 gli viene riscontrato il tumore, per il quale si sottopone ad un intervento chirurgico e ad un ciclo di cure. Ma il Comitato di verifica, con doppio parere negativo, respinge la sua richiesta di riconoscimento della causa di servizio, dicendo sostanzialmente come sia «da escludere ogni nesso di causalità o di concausalità non sussistendo, altresì nel caso di specie, precedenti infermità o lesioni imputabili al servizio che col tempo possano essere evolute in senso neoplastico».

Il Tar, nell’accogliere il ricorso del militare, si sofferma sulla «carenza, nel parere impugnato, di una valutazione in concreto della esposizione del militare a sostanze nocive, avendo il Comitato prospettato un generico richiamo alla multifattorialità della patologia ed ai suoi comuni elementi di rischio, quali carenza di iodio od esposizione a radiazioni ionizzanti, senza però considerare la concreta situazione del militare, che ha invece lamentato l’esposizione, durante il servizio nei territori balcanici ed iracheni, ad agenti patogeni (come l’uranio impoverito e le relative nanoparticelle disperse nell’ambiente), potenzialmente idonei a dare luogo ad una genesi neoplastica.

In particolare il Comitato di Verifica, pur richiamando in esordio le pregresse missioni del militare in teatri notoriamente a rischio di contaminazione per fattori ambientali, non ha approfondito le sue specifiche condizioni d’impiego, né le sue interazioni con i noti fattori di possibile tossicità riconducibili all’esposizione ad inquinanti dispersi nell’ambiente, né ha evidenziato, dal punto di vista soggettivo, concreti e alternativi fattori causali di insorgenza della patologia rispetto alle severe condizioni di impiego e di contesto operativo allegate dal militare». In conclusione, «l’Amministrazione non ha delineato concrete ipotesi eziologiche alternative per l’insorgenza della patologia de qua, rispetto alla quale va, quindi, ritenuto ragionevolmente provato il nesso di causalità con l’attività di servizio svolta dal militare in contesti ambientali notoriamente contaminati e fonte di rischio per la salute umana».

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