LECCE - Liste d’attesa: ottime performance per Asl Lecce, ma sulle visite specialistiche da effettuare entro 30 giorni dalla richiesta di prenotazione sono troppi i cittadini che non trovano risposta. Su 14 visite specialistiche, solo due raggiungono un risultato eccellente il resto è fatto di ritardi non tollerabili che spingono chi ha bisogno di una diagnosi ad aprire il portafoglio per pagare una visita in Alpi (l’attività libero professionale delle Asl) o in uno studio privato.
Numeri, ma dietro ci sono le storie dei pazienti che aspettano con ansia anche su quesiti clinici non secondari. È il caso della visita cardiologica richiesta nel primo semestre 2023 da 58.233 utenti di cui solo il 19.291, ossia appena il 33,1%, ha avuto la garanzia di una prestazione per la prima visita nel tempo massimo previsto dal codice di priorità. Il ventre molle, per Asl, è appunto nel codice D che per le visite prevede 30 dalla prenotazione. Dalla maglia nera si salvano la visita oncologica che ha un’ottima performance (95,65%) e quella fisiatrica (99,25). La musica cambia spartito su tutte le altre tipologie di visita specialistica: su quella cardiologica ha avuto soddisfazione della domanda solo il 58,47 per cento degli utenti; in quella di chirurgia vascolare il 68,75; in quella endocrinologica il 61,54; per quella neurologica il 72,41; per l’oculistica 68,91; ortopedica 79,02; ginecologica 64,92; otorinolaringoiatra 74,66; dermatologica 77,61; gastroenterologica 46; pneumologica 66,05.
Una risposta a questo ventre molle può essere trovata nel fatto che Asl Lecce ha fatto uno sforzo notevole per migliorare i codici U (urgente, entro 72 ore); B (Breve entro 10 giorni). Per questi codici, infatti, tante sono le visite che vengono effettuate al 100 per cento entro il tempo massimo previsto oppure si discostano per pochi punti percentuali dall’en plein.
Il risultato, ovvio, sono i milioni di euro che i cittadini spendono per curarsi in Alpi. Fra ottobre e novembre 2022 i salentini, per curarsi a loro spese, hanno sborsato 1.238.752,85 euro che lievitano fino a 2.862.347,86 euro aggiungendo maggio e settembre 2023. L’incasso mensile medio è di poco più di 600 mila euro che Asl Lecce incamera a fronte di visite specialistiche ed esami diagnostici. Dati che non raccontano tutto il fenomeno figlio diretto delle liste d’attesa: chi può pagare non aspetta i tempi biblici del sistema sanitario che su alcune prestazioni arranca e paga. Agli incassi del sistema sanitario pubblico occorrerebbe aggiungere quelli del settore privato la cui quantificazione, però, può essere solo oggetto di stime. Quel che è certo? Chi non può pagare rinuncia a curarsi e la riprova sta nella diminuzione delle prestazioni Alpi, fenomeno certificato dal Ministero della Salute che monitora il fenomeno con l’“Osservatorio nazionale sullo stato di attuazione dei programmi di adeguamento degli ospedali e sul funzionamento dei meccanismi di controllo a livello regionale e aziendale”. Ma anche i dati storici raccontano la stessa tendenza che si evince dalla Relazione del Ministero della Salute al Parlamento, su dati riferiti al 2016. Difatti alla diminuzione delle prestazioni Alpi non ha fatto seguito un aumento delle prestazioni in regime ordinario nonostante il costante invecchiamento della popolazione che porta con sé una maggiore richiesta di domanda di salute. La crisi economica che dal 2009 ha affossato il Paese e la pandemia poi, hanno diminuito la capacità di spesa dei cittadini che dinnanzi alla difficoltà di vedersi erogare una prestazione o pagano o si rassegnano al corso naturale della malattia.
Sarebbe miope mettere in correlazione le prestazioni intramoenia (pagamento di visita o esame diagnostico nel sistema sanitario pubblico) con le liste d’attesa come se l’una fosse causa dell’altra. Nella generalità dei casi a determinare i tempi di attesa concorrono la carenza di personale che non consente di utilizzare per almeno 12 ore al giorno le grandi macchine (Tac e Risonanze in primis), ma anche il mancato funzionamento h12 degli studi specialistici, con in più i robusti tagli al finanziamento del Sistema Sanitario che dal 2009 al 2016 ha sforbiciato a livello nazionale più di 30 miliardi di euro con annesso sfoltimento degli organici e dei posti letto ospedalieri.