Sabato 06 Settembre 2025 | 11:11

Lecce, si cerca la verità nello smartphone della studentessa suicida

 
Fabiana Pacella

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Fabiana Pacella

Lecce, si cerca la verità nello smartphone della studentessa suicida

La studentessa Julie Tronet

Eseguita l’autopsia: nessun segno di colluttazione sul corpo della 21enne Julie Tronet. Il 19enne di Ceglie Messapica ha ammesso il rapporto «ma consensiente»

Venerdì 27 Ottobre 2023, 12:55

LECCE - Due capi d’accusa tanto pesanti quanto prevedibili: violenza sessuale e istigazione al suicidio. È la prassi, ed è necessaria al fine di blindare prima e garantire poi la verità sul suicidio di Julie Tronet, la studentessa francese di 21 anni che si è tolta la vita domenica sera in casa a Lecce, e sul ruolo effettivo in questa vicenda delicata e difficile dello studente 19enne di Ceglie Messapica, conosciuto dalla ragazza nel Salento e unico indagato.

Due vite giovani, incontratesi e abbracciatesi in una città inclusiva e sicura, ora divise su fronti opposti di una pagina di cronaca con tanti interrogativi e vuoti da colmare.

Julie ha lanciato il suo sos il 19 ottobre. Ha detto di aver subito un abuso sessuale, c’è traccia documentale della visita medica cui si è sottoposta, ma non ha contattato la psicologa né, pur esortata a farlo, ha voluto denunciare alla polizia.

Il ragazzo con cui ha avuto il rapporto non ha negato la conoscenza né il momento di intimità. Ha negato però la mancanza di consenso. E c’è un selfie dopo l’incontro avuto in casa di Julie, da solo, davanti all’ingresso di quell’appartamento, una posa che poteva far pensare alla vanità di voler esibire una conquista agli amici.

Lo ha fatto «in assoluta buona fede» sottolinea però l’avvocato Aldo Gianfreda, che assiste il 19enne per il quale la famiglia chiede riserbo. Il ragazzo e Julie si sarebbero conosciuti tra i locali della movida leccese il 18 ottobre. Con loro c’era anche una studentessa bielorussa che a detta della difesa può confermare il clima disteso tra il 19enne e la studentessa francese. Poi i due sarebbe saliti nell’appartamento dove viveva la 21enne.

Dall’esame autoptico svolto ieri sul corpo della ragazza, dai medici legali Alberto Tortorella e Giacomo Mongelli, non sono emersi segni di scontri fisici. Procede lo studio dei contenuti degli smartphone affidato a un ingegnere informatico.

Fin qui i fatti, tutti riscontrati che possono aiutare chi indaga a capire. L’attività di autorità inquirente e investigatori procede senza sosta da domenica sera, quando il corpo della giovane è stato rinvenuto nell’appartamento di via Pappacoda, nel rione San Pio, che condivideva con un altro studente straniero.

Resta il dolore, a tratti simile, a tratti molto diverso di due famiglie che chiedono rispetto.

I familiari di Julie sono giunti a Lecce mercoledì sera. Madre, padre, fratello si sono subito recati nella camera mortuaria dell’ospedale «Vito Fazzi». A loro la giovane ha indirizzato l’ultimo messaggio, parole piene di amore, scritte su un foglio prima di togliersi la vita.

Ieri la veglia di preghiera di amici e compagni di università in Duomo. Preghiera, non spettacolo né spettacolarizzazione. L’Università del Salento in una nota ha invitato «a rispettare il silenzio richiesto dalla famiglia e dall’ateneo».

Non importa che volto avesse Julie, come vestisse. Il suo sentire, i suoi sogni e i suoi turbamenti abitano il quotidiano di tante ragazze della sua età e, più in generale, di tante donne. Scricchiolano sul pavimento malfermo di un tempo che corre troppo veloce, aggancia, fagocita e sputa rapporti ed emozioni come cicche. Un tempo che poi inchioda alle responsabilità tutti e ognuno, quando arrivano storie pesanti come questa. Quando è troppo tardi. Quando si rischia di sbagliare ancora, dando la caccia a colpevoli e gregari. Ma ognuno può fare la sua parte, prima. E avere rispetto, del tempo, anziché ingoiarlo con bulimia. Non serve inseguire i fantasmi domani, se si può essere cittadini oggi e interrogarsi sull’altro che ci abita o ci cammina affianco, sui moti ondivaghi del suo umore, sulle richieste di aiuto anche quando velate, sui cedimenti del suo comportamento consueto.

Altrimenti rischiamo di correre a vuoto, e inciampare anche noi. E nella storia di Julie e di tante prima di lei, che si chiamavano Francesca o Annalisa o Maria o Tiziana, e andavano a scuola o in fabbrica o in ufficio - poco cambia -, siamo inciampati un po’ tutti.

Ora che la storia della 21enne si chiude in parte in una cassa di legno, le autorità diranno se c’è stata violenza e istigazione al suicidio, che una parola in più o in meno fa la differenza e tutto pesa troppo, quanti di noi scaleranno davvero le marce, d’ora in poi, per ascoltare l’altro?

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