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L'augurio del vescovo di Lecce: «Nel Natale di guerra trionfi l’amicizia sociale»

L'augurio del vescovo di Lecce: «Nel Natale di guerra trionfi l’amicizia sociale»

 
Alessandra Peluso

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Alessandra Peluso

L'augurio del vescovo di Lecce: «Nel Natale di guerra trionfi l’amicizia sociale»

Monsignor Michele Seccia tira le somme di un anno complesso e indica la strada per «raggiungere quel benessere che oggi sembra smarrito»

Giovedì 29 Dicembre 2022, 13:20

Si è soliti interrogarsi, al termine di un anno, su ciò che è stato fatto e su ciò che ancora si dovrà fare, senza rimorsi né rimpianti. Secondo Lei Eccellenza, monsignor Michele Seccia, cosa c’è e cosa manca, nella terra salentina e nel resto del mondo? Come si possono sciogliere i nodi del «nefasto» binomio capitalismo-libertà, denaro-potere?

«Né rimorsi, né rimpianti. Non ha molto senso volgere lo sguardo indietro, molto più giusto sporgersi oltre la soglia di ciò che vediamo ad occhio nudo per cogliere i segni della speranza. Essa non va accostata al sogno o al desiderio. La speranza cristiana è certezza del bene. Di quello personale e di quello comune a tutti. Il Salento, come l’Italia e l’intero pianeta escono da due anni nei quali la sofferenza è diventato patrimonio comune. Nessuno è uscito indenne dalle conseguenze della pandemia. Il dolore, in misure e in forme diverse, ha alimentato una strana forma di uguaglianza: uomini e donne, grandi e piccoli, ricchi e poveri, tutti abbiamo le ferite di ciò che è stato e che ancora non passa. È molto forte il bisogno di ritrovarsi, di ridisegnare vie confluenti per raggiungere quel benessere che sembra smarrito, di riempire alcuni vuoti lasciati dal mancato sviluppo, di ridare senso alla sussidiarietà, alla solidarietà e alla giustizia sociale. In questo senso la pandemia avrebbe dovuto insegnarci di più. Le crisi veloci impongono reazioni e soluzioni veloci: non sempre ci siamo trovati pronti a rispondere a tutto ciò che ci è stato chiesto. Il Censis dice che la nostra società non regredisce e non matura, ciò vuol dire che nonostante lo stratificarsi di crisi e difficoltà non c’è un ritorno indietro. Possiamo dire che si vive una sorta di latenza soprattutto nelle risposte alle problematiche che ci vengono dall’esterno. In questi anni abbiamo accettato un po’ tutto, (bonus, sostegni, interventi). Manca però una risposta unitaria, una visione: lo abbiamo visto anche nell’ultima finanziaria che prova, nei limiti di spesa, a non scontentare più di tanto le persone, senza avere una visione complessiva, un progetto di Paese che miri unitariamente al bene comune».

In merito a temi riguardanti il lavoro, la precarietà - affrontati anche dal Papa - e sulle condizioni talvolta disumane, cosa potrebbe aggiungere?

«La terza guerra mondiale, come la chiama Papa Francesco, ha complicato ancora di più le cose: la situazione internazionale del conflitto alle porte dell’Europa con effetti terribili che avvertiamo da dieci mesi a questa parte, i rincari delle materie prime e il costo dei prodotti della spesa, stanno mettendo in ginocchio un po’ tutti. Il lavoro e la precarietà, secondo i dati Caritas, e la povertà attualmente interessano in Italia più di 5 milioni di persone. Numeri che preoccupano. Se guardiamo dove si annidano questi nuclei familiari, scopriamo che alcuni sono stati “sostenuti” da quel reddito di cittadinanza che oggi tanto fa discutere, soprattutto per famiglie a bassa scolarità e per famiglie numerose, in modo particolare nel Sud. Poi ci sono gli immigrati: anche lì da molti anni solo tentativi “tappa buchi”, mai tentativi europei e occidentali di accoglienza del fenomeno ormai irreversibile. Noi, come Chiesa facciamo più del possibile ma continua a non bastare se non viene nei fatti riconosciuto il diritto a emigrare e di conseguenza a integrare».

Nella conferenza dello scorso 16 dicembre al Centro Mediterraneo di Cultura «Giovanni Paolo II», indetta da Cisl e Caritas, Lei ha parlato di speranza non come condizione di attesa passiva bensì come costruzione, crescita, miglioramento. È complicato in periodi bui avere speranza e fiducia quando ciò che è fondamentale per una società retta, plurale, giusta - cioè il lavoro, l’umanità - vengono a mancare. Cosa potrebbe e dovrebbe fare e cosa fa la realtà ecclesiastica per infondere un sano ottimismo?

«Il Natale diventa per noi Chiesa sinonimo di speranza. Nella povertà - e non nella ricchezza - è nato Colui che ha salvato l’uomo. Ecco perché la parola speranza non può che risuonare con tutta la sua forza: il bambino che nasce nella grotta di Betlemme ci invita a cercare strade nuove, a cercare quel bene prezioso della pace, a livello familiare e a livello nazionale e internazionale. La Chiesa prova ad essere vicina a tutte quelle persone che per ragioni molteplici non festeggeranno così come avrebbero voluto, un po’ per l’incertezza lavorativa, un po’ per una precarietà culturale, unita ad una certa rassegnazione, non fanno intravedere la luce. È vero però che gli scenari futuri partono da situazioni anche contingenti e locali. Occorre, per questo, fare rete con tutte le istituzioni, a partire da quelle scolastiche a quelle amministrative, politiche, sanitarie, e a tutto il mondo di associazioni che hanno a cuore il bene della persona. È bello, dopo due anni, riscoprire la voglia di incontrarsi, di festeggiare e di scambiarsi un regalo, di incoraggiarsi reciprocamente, di farsi gli auguri. Forse non ne siamo usciti migliori ma certamente non dobbiamo dimenticare quello che insieme abbiamo provato e come Chiesa abbiamo sostenuto la forza della speranza, oltre gli slogan di facciata lanciati per farci coraggio. Oggi, in questo Natale di guerra, occorre aumentare quell’amicizia sociale di cui ci parla la “Fratelli tutti” di Papa Francesco, unitamente alla “Laudato sì”, due messaggi che ci invitano a preoccuparci del bene della nostra madre terra e di tutti, proprio tutti, gli uomini e le donne che la abitano».

L’economia senza l’etica non può garantire un buon risultato. Il segretario generale della Cisl, Ada Chirizzi, ha utilizzato una parola poco o quasi per niente considerata: responsabilità. Quanto essere responsabili coincida con l’essere liberi lo ha scritto papa Francesco citando Georg Simmel, filosofo e sociologo della modernità, a proposito di fraternità e amicizia sociale.

«Responsabilità e libertà possono esistere soltanto se vanno di pari passo, se cantano all’unisono: non esiste lo straniero tra fratelli, non esistono il ricco e il povero tra fratelli, non esiste il diverso tra fratelli. La fratellanza o, meglio ancora, la fraternità, nascono dalla consapevolezza di un’origine comune e da un’identità condivisa. Chi crede che siamo tutti figli liberi di un solo Padre non ammette le differenze e usa le sue braccia e il suo cuore solo per accogliere. In questo senso, anche l’economia dovrebbe fare un passo indietro rispetto alle ingiustizie e due passi avanti rispetto alla solidarietà capace di annullare le differenze».

Il lavoro quale diritto citato dalla Costituzione dovrebbe essere garantito a tutti. Occorrerebbe educare la società con l’aiuto sincronico e non in contrasto tra Stato e Chiesa affinché possano convergere in un unico e solo obiettivo che riguardi il benessere del Mezzogiorno, dell’Italia.

«Il Signore che nasce per noi ci chiama a interrogarci e a capire. Il Natale è la luce che splende nelle tenebre, che illumina ogni vita provando a dare gioia, speranza, futuro. Nel cuore dell'uomo c'è tanto posto per la bellezza di un Dio che viene. Basta aprirsi alla luce per generare l'impegno e la responsabilità verso i fratelli. La parola di Dio per noi è una grande speranza: “un bambino è nato per noi”. Gli orrori, le devastazioni e le morti del conflitto, non devono offuscare questa novità del Natale che è la celebrazione della fraternità. Chi accoglie Dio nella sua vita è chiamato a guardare ogni persona indipendentemente da colore della pelle dall'etnia o dalla religione. Siamo chiamati a seguire l'esempio dei pastori, gente semplice, umile, senza storia e senza volto però che è attenta e riconosce nel bambino Gesù il Salvatore. Soltanto dopo arrivano i Magi, i saggi ricchi, le persone istruite. Il ruolo di chi crede in tutto questo è quello di annunciare, di testimoniare la gioia del Signore che nasce con le scelte concrete nei confronti dei fratelli, a superare quella povertà non solo economica ma anche quella educativa che appartiene a tanti nostri ragazzi. In ogni casa, al di là dei segni visibili del Natale, ci sia la testimonianza concreta di ognuno di noi perché possiamo brillare di quella luce che il bambino Gesù ci trasmette senza rinunciare mai alla carità che è l’identità del nostro Dio. Buon Natale. Siamo convinti che la nostra terra, che ha conosciuto situazioni complesse e difficili, possa trovare strade nuove mantenendo quel riferimento religioso che da sempre l’ha contraddistinta. Vogliamo mantenere un disegno unitario della nostra nazione, superando quell’autonomia regionale che in parlamento si paventa, e che genererebbe un ulteriore distacco tra le regioni ricche e quelle più fragili».

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