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«Un falso co.co.co. come addetto stampa», condanne per il Pd di Lecce e la Bellanova

 
Massimiliano Scagliarini

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Massimiliano Scagliarini

sede tribunale di Lecce

Sentenza della Sezione Lavoro della Corte d'appello: «Non era un collaboratore, era un dipendente»

Mercoledì 14 Settembre 2022, 09:57

09:59

Per poco più di tre anni il Pd provinciale di Lecce ha utilizzato come addetto stampa uno studente universitario, non iscritto all’ordine dei giornalisti, tenendolo a partita Iva come un «cococo». E invece, secondo la Corte d’appello di Lecce, il giovane collaboratore era a tutti gli effetti un dipendente del partito, che per gli ultimi 5 mesi ha lavorato anche per l’ex sindacalista Teresa Bellanova (poi ministro nel governo Renzi). Per questo i giudici hanno condannato il Pd di Lecce a pagare a Maurizio Pascali poco più di 50mila euro, di cui 6.700 euro in solido con la Bellanova.

La sentenza di appello, che ha ribaltato quella emessa dal 2019 dal Tribunale di Lecce, risale a giugno ma è stata depositata lunedì nel processo per diffamazione intentato dalla Bellanova a Pascali e ad altri giornalisti che in passato si sono occupati della vicenda. L’ex ministro, passata poi con Renzi e ora candidata nel Terzo polo, ha accusato l’allora studente di averle estorto una lettera di referenze a fine collaborazione, ammettendo di avergli dato un incarico solo da dicembre 2012 «in vista della campagna elettorale» per le Politiche del 2013.

Pascali (assistito dall’avvocato Maria Lucia Rollo) veniva retribuito a partita Iva, con 1.200 euro al mese, e lavorava nella sede cittadina del partito per rielaborare le note da inviare alla stampa. Il Pd provinciale di Lecce, di cui all’epoca era segretario l’onorevole Salvatore Capone, ha provato a difendersi sostenendo che la presenza del collaboratore in sede era dovuta al fatto che gli veniva permesso di utilizzare il telefono e Internet per i suoi studi. Ma i giudici (presidente relatore Daniela Cavuoto) hanno invece riconosciuto che era un dipendente, anche se - non essendo iscritto all’ordine dei giornalisti - per calcolare le differenze retributive hanno utilizzato il contratto dei servizi. «Dal complesso delle dichiarazioni acquisite, ivi comprese quelle di Salvatore Capone - è detto infatti in sentenza -, emerge che l’unico ad occuparsi delle relazioni esterne con la stampa, e quindi della divulgazione di comunicati che esprimevano l’orientamento, le posizioni, le idee e le iniziative della sede provinciale del partito e della parlamentare Bellanova, era Pascali». «Resta quindi privo di riscontro - proseguono i giudici - l’assunto che la presenza di Pascali sarebbe stata giustificata dalla necessità di dedicarsi agli studi universitari con possibilità di usufruire di collegamento Internet gratuito, o di leggere i giornali». Secondo la Corte d’appello, le lettere di referenze firmate da Capone e dalla Bellanova (secondo cui Capone ne aveva ottenuto il rilascio «con modalità fraudolente») attestano «fatti che hanno trovato pieno riscontro anche documentale». La Corte d'appello ha anche condannato il Pd (che non si è costituito) e la Bellanova a pagare circa 18mila euro di spese legali.

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