BARI - Anche la sorella di Antonio Savasta avrebbe ottenuto una fetta dei soldi che l’ex pm, insieme all’ex gip Michele Nardi, spillò agli imprenditori Flavio D’Introno e Paolo Tarantini, il primo nelle vesti di privato corruttore e il secondo quale concusso nell’episodio finora ritenuto più grave tra quelli già esaminati dai giudici di Lecce. Ed ecco che arriva a giudizio anche l’ultimo troncone della cosiddetta «giustizia truccata» nel Tribunale di Trani: martedì prossimo altre 12 persone dovranno comparire davanti al gup Laura Liguori per rispondere, a vario titolo e secondo le rispettive responsabilità, di concorso in corruzione, concussione, calunnia, falsa testimonianza, falso, soppressione di atti veri ed estorsione.
Le cinque accuse formulate dal pm Roberta Licci vedono appunto il concorso dei due magistrati e delle altre persone già condannate in primo grado (e in attesa di appello). E riguardano anche i genitori e due fratelli di Flavio D’Introno (Domenico e Giuseppe) che, secondo quanto emerso durante l’incidente probatorio e il processo di primo grado, avrebbero depositato o comunque concordato le false denunce presentate alla Procura di Trani per screditare gli accusatori del figlio Flavio e tentare di bloccare le cartelle esattoriali milionarie con la complicità, tra l’altro, di due ex dipendenti dell’azienda di ceramiche di famiglia: per questo l’accusa è di concorso in calunnia e falsa testimonianza.
Grazie alle attività corruttive messe in atto dal fratello nei confronti di Flavio D’Introno - questa l’accusa che andrà provata davanti ai giudici -, Emilia Savasta (difesa dall’avvocato Massimo Manfreda di Brindisi) avrebbe ottenuto i lavori per l’allestimento di una palestra di via Patalini a Barletta, 50mila euro in contanti, oltre a viaggi e soggiorni in alberghi a cinque stelle prenotati da D’Introno nell’agenzia di viaggi Tarantini di Corato. La donna, 48 anni, avrebbe poi partecipato alla «stangata» ai danni di Paolo Tarantini organizzata (lo dice la sentenza di primo grado) proprio dal fratello: all’anziano imprenditore fu prospettata l’esistenza di una falsa indagine per reati fiscali, cancellata dopo il versamento di 400mila euro cash alla «banda dei giudici». La sorella del pm sarebbe stata il tramite «per la richiesta della somma di denaro» durante un incontro nella palestra di Barletta.
I processi di primo grado hanno portato a condanne di 16 anni e 9 mesi per Nardi, 10 anni per Savasta, 4 anni per l’altro ex pm Luigi Scimè, 2 anni e 6 mesi per D’Introno (l’appello è in corso). Nell’udienza preliminare della prossima settimana ci saranno tutti i loro (presunti) comprimari: di concorso in corruzione e calunnia risponde Michele Valente, 66 anni, di Corato, ritenuto il «mediatore» tra D’Introno e il poliziotto Vincenzo Di Chiaro (9 anni e 7 mesi in primo grado), mentre di falso e soppressione di atti veri risponde l’altro poliziotto Francesco Palmentura, 48 anni, di Bari. Alcuni degli imputati potrebbero chiedere il giudizio abbreviato.