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Tra il 5 e il 6 maggio l’avvio del Conclave per eleggere il nuovo Papa

 
Redazione online

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Tra il 5 e il 6 maggio l’avvio del Conclave

Ieri la scena l’ha dominata Pietro Parolin

Lunedì 28 Aprile 2025, 05:29

10:00

CITTÀ DEL VATICANO Secondo il testo liturgico che definisce le regole e le modalità di cosa avviene dopo la morte di un Papa - l’Ordo Exsequiarum Romani Pontificis -, il Conclave inizia tra il 15/o e il 20/o giorno dal decesso, quindi tra il 5 e il 10 maggio prossimi. Oppure tra il 6 e l’11 maggio se si conta dal giorno successivo alla morte. Anche questo «busillis» sarà risolto questa mattina, quando la quinta congregazione generale dei cardinali stabilirà la data definitiva. Il calendario della settimana prevede congregazioni la mattina alle 9 e, nel pomeriggio alle 17, le messe dei «novendiali» nella Basilica vaticana: il ciclo dei nove giorni di suffragio, iniziato ieri con la messa esequiale presieduta in Piazza San Pietro dal cardinale decano Giovanni Battista Re, si esaurirà domenica 4 maggio. Dopo di che il possibile ingresso in Sistina e l’«extra omnes» che apre il Conclave.

I 135 «elettori» (134 considerando il forfait per motivi di salute del cardinale di Valencia Antonio Canizares Llovera) stanno convergendo a Roma. Molti si conosceranno direttamente nelle congregazioni, dove, in tema di strategie che porteranno all’elezione del nuovo Papa, conterà molto anche il peso di non-elettori, cioè i cardinali «over-80», che mantengono la loro capacità di influenza e di orientare consensi. Tra questi «grandi vecchi» c’è sicuramente il 91/enne decano Re, mentre non si sa tra gli italiani quanto potranno esercitare un ruolo di indirizzo ex presidenti Cei come Camillo Ruini e Angelo Bagnasco. Fra gli stranieri con capacità di spostare voti, e non presenti in Conclave, ci sono il cardinale di Boston Sean Patrick O’Malley, il più attivo promotore della lotta agli abusi sessuali, quello di Vienna Christoph Schoenborn, ex allievo di Joseph Ratzinger e fiduciario di papa Bergoglio in ruoli-guida di vari Sinodi, o l’ex prefetto dei vescovi, il canadese Marc Ouellet, influente anche in America Latina.

Ma ieri, la scena tra i «papabili» è stata tutta per Pietro Parolin, già segretario di Stato, che ha presieduto in Piazza San Pietro la seconda messa dei «novendiali», davanti ai 200 mila persone. Da stretto collaboratore di Bergoglio, la sobrietà, il piglio sicuro ma anche affabile e umano con cui ha portato avanti la celebrazione ha ricordato quelli dell’allora prefetto per la Dottrina della fede e decano del Collegio cardinalizio Joseph Ratzinger nell’officiare venti anni fa i funerali di Giovanni Paolo II, uscendone come l’unico vero candidato alla successione. Nella messa di ieri, in cui ha assimilato la tristezza, il turbamento e lo smarrimento per la morte di Francesco a quelli degli «apostoli addolorati per la morte di Gesù», Parolin è come se avesse esposto sinteticamente una sorta di suo «programma», sulla scia del grande pontificato appena concluso. Ha spiegato che l’«eredità» del Pontefice «dobbiamo accoglierla e farla diventare vita vissuta, aprendoci alla misericordia di Dio e diventando anche noi misericordiosi gli uni verso gli altri». «Solo la misericordia guarisce e crea un mondo nuovo, spegnendo i fuochi della diffidenza, dell’odio e della violenza: questo è il grande insegnamento di Papa Francesco», ha sottolineato, a proposito di un Pontefice che alla misericordia dedicò anche un Anno Santo straordinario.

Una misericordia che è guida anche nell’azione diplomatica della Santa Sede, come si è visto ancora sabato nell’incontro in Basilica tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky, in una foto che ha fatto il giro del mondo ed è rimasta l’emblema della giornata: non pochi l’hanno definita «l’ultimo miracolo di papa Francesco». Zelensky sabato ha anche incontrato proprio Parolin, capo della diplomazia d’Otretevere, ringraziando poi su X «per il sostegno al diritto dell’Ucraina all’autodifesa e al principio secondo cui le condizioni di pace non possono essere imposte al Paese vittima». 

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