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Autonomia differenziata, Puglia all’attacco: «Così spaccheranno l’Italia». Decisione entro dicembre

 
dal nostro inviato Massimiliano Scagliarini

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dal nostro inviato Massimiliano Scagliarini

Autonomia differenziata, Puglia all’attacco: «Così spaccheranno l’Italia»

Udienza alla Consulta contro la legge Calderoli, il Nord contro le richieste del Sud. Palazzo Chigi: «Ricorso inammissibile»

Martedì 12 Novembre 2024, 07:00

15:31

ROMA - Non è vero, dice Palazzo Chigi, che l’Autonomia differenziata spaccherà l’Italia. Non è vero, secondo la presidenza del Consiglio, che con l’attuazione della legge Calderoli si svuoterà la competenza legislativa dello Stato a favore di quelle Regioni che chiederanno di gestire da sé una o più materie, come già hanno annunciato di voler fare Lombardia, Veneto e Piemonte. Questo perché « la deroga all’ordine costituzionale delle competenze che deriverebbe dall’attuazione dell’articolo 116» è «per sua natura reversibile. oltre che in ragione del meccanismo della revisione costituzionale, anche, a livello sub-costituzionale». Cioè, insomma, un giorno vicino o lontano il governo potrebbe «chiedere indietro» le competenze.

E’ questa la tesi con cui stamattina il governo Meloni proverà a resistere al ricorso con cui la Regione Puglia chiede alla Consulta non solo di cancellare la legge Calderoli, ma anche di auto-sollevare davanti a se stessa la questione di legittimità dell’articolo 116: cioè quello, modificato da un governo di centrosinistra nel 2001, di cui le norme volute dalla Lega sono le regole di attuazione. «Divideranno l’Italia», sostiene nel suo ricorso il professor Massimo Luciani, che con l’avvocato Rossana Lanza oggi aprirà la discussione davanti ai 13 giudici delle leggi oggi in carica (il blitz della Meloni per eleggere il quattordicesimo è fallito). Da un lato ci sono Puglia, Toscana, Sardegna e Campania. Dall’altro - contrarie al ricorso, dunque favorevoli alla riforma – si schierano Piemonte, Veneto e Lombardia, spalleggiate dalla presidenza del Consiglio che con un atto non rituale ha scelto di schierarsi.

Il messaggio politico è evidente. Quello di Emiliano, che con un ricorso tecnicamente insidioso prova a scardinare uno dei capisaldi del governo di centrodestra. E quello della Lega, che giusto ieri ha riunito con Calderoli i governatori delle tre Regioni battistrada per concordare l’attribuzione immediata di una delle materie che non ha bisogno dell’individuazione preventiva dei Lep, i livelli essenziali delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale: l’idea è partire dalla Protezione civile, per dare alle tre Regioni la possibilità di dichiarare da sé gli stati di emergenza. Ma senza chiarire poi a chi spetterà pagare.

L’udienza di oggi potrebbe essere molto lunga e molto articolata. Ma la decisione potrebbe essere tra le più veloci mai prese dalla Consulta, e questo per un doppio ordine di motivi. Primo perché la stessa Corte costituzionale dovrà pronunciarsi sull’ammissibilità dei referendum costituzionali promossi dal centro sinistra: un eventuale accoglimento anche parziale dei ricorsi (con la cancellazione anche di un solo pezzo della legge Calderoli) potrebbe rendere i referendum inammissibili. Secondo perché nel collegio (il relatore è Giovanni Pitruzzella, siciliano di Palermo, professore di diritto costituzionale, già presidente dell’Antitrust e avvocato generale alla Corte di giustizia europea) ci sono due giudici in scadenza di mandato, Franco Modugno e Giulio Prosperetti, nominati ai tempi del governo Renzi e indicati rispettivamente da M5S e Area Popolare (il gruppo dei transfughi di Udc e Ncd all’epoca guidato da Angelino Alfano), che dovranno lasciare a metà dicembre.

Diverse voci del centrodestra vicine a Fratelli d’Italia sono pronte ad ammettere, a microfoni spenti, che un accoglimento anche parziale dei ricorsi non sarebbe del tutto negativo, perché eviterebbe al governo Meloni l’imbarazzo di un referendum abrogativo dagli esiti imprevedibili. Anche ammesso che non si raggiunga il quorum, il voto popolare potrebbe trasformarsi in una sfida Sud contro Nord in cui gli unici ad avere qualcosa da guadagnare (politicamente) sono quelli della Lega: gli altri partiti della coalizione, che hanno un elettorato forte soprattutto nelle Regioni meridionali, ne farebbero probabilmente a meno. E non è un caso se il più cauto nella partita dell’Autonomia è il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, leader di Forza Italia, l’unico a mettere paletti e a fare distinguo rispetto alla fretta di Salvini e Calderoli.

Il ricorso pugliese prova però a toccare punti estremamente pratici. E dunque sostiene che concedere maggiori spazi di autonomia a una o più Regioni finirà per danneggiare «irragionevolmente» le altre, e poi che la legge Calderoli non sarà in grado di assicurare «l’invarianza finanziaria» che invece è prevista: vale a dire che senza ulteriori risorse economiche (pensiamo ad esempio alla scuola) il pezzo di finanziamento trasferito alle Regioni autonome porterà con sé anche una quota dei soldi che sarebbe andato a tutte le altre, ovvero a quelle con la minore capacità fiscale tra cui – appunto – l’intero Sud. Se non si mettono soldi in più, è impossibile che garantire l’«invarianza finanziaria» alle Regioni che restano nel regime di autonomia ordinaria. E se ciascuna Regione può spendere i «suoi» soldi nessuna di quelle che oggi trasferisce risorse allo Stato centrale (Lombardia e Veneto in primis) avrà alcun tipo di incentivo a risparmiare: il risparmio rispetto alla «spesa storica» è invece ciò che secondo Calderoli dovrebbe evitare la necessità di reperire nuovi fondi. La Puglia avverte che non andrà così: e dunque avremo ricchi sempre più ricchi, e poveri sempre più poveri.

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