L’autonomia differenziata è legge dal 26 giugno. Il dibattito sulla riforma del regionalismo è però sempre più surriscaldato e cosi’ la «Gazzetta» ha chiesto di affrontare il tema ad uno dei protagonisti di questa svolta che ha l’obiettivo di valorizzare le autonomie locali, responsabilizzandone le classi dirigenti: il governatore del Veneto Luca Zaia, autore del recente saggio «Fa’ presto vai piano» (Marsilio), si confronta a viso aperto con le obiezioni che pone l’opinione pubblica meridionale. Il leader di Conegliano è, secondo gli ultimi studi, anche il presidente di Regione più apprezzato sui social. E oggi si parlerà di autonomia in Consiglio regionale
Governatore Zaia, le polemiche sull’autonomia creano preoccupazione nel Sud. Quale le sembra l’argomento meno efficace contro la riforma tra quelli mossi soprattutto dalle opposizioni?
«Penso sia grave che su un tema come questo, costituzionale, previsto dalla Carta fin dal primo gennaio 1948 e poi con il Titolo V del 2001, si diffondano narrazioni che non hanno nulla a che vedere con questo progetto».
A cosa si riferisce in particolare?
«A due assiomi dei critici: “l’autonomia è una scatola vuota” o “è un provvedimento Spacca-Italia”. Le due cose sono antitetiche e non stanno in piedi».
Come presenterebbe allora questo passaggio?
«Si tratta di una grande opportunità. Siamo davanti ad un gigantesco processo di decentramento amministrativo».
Materie e funzioni.
«La costituzione prevede che si possa trattare sulle 23 materie scritte nella Carta, ogni materia ha delle funzioni. Ecco un esempio».
Prego.
«Il rinnovo dei passaporti, prima era una esclusiva delle Questure e del ministero dell’Interno. Il governo, lungimirante, ha delegato alle Poste questa funzione. Questo è un progetto di autonomia differenziata…».
Come si cala nel quotidiano la maggiore autonomia?
«Per esempio sulla Protezione civile: l’autonomia dà la facoltà ai presidenti di Regione, di fronte ad una calamità, di fare ordinanze “di deroga”. Se mi ritrovo cittadini sott’acqua, invece di attendere i decreti da Roma, posso intervenire immediatamente per dare risposte ai cittadini».
Le 14 materie legate ai Lep?
«C’è, tra le altre deleghe, l’Ambiente. Tanti progetti regionali hanno bisogno di una Via, concessa con iter nazionale. Allungando le catene decisionali ci si mette più tempo. Non è dunque una guerra contro qualcuno, ma è la volontà di chiudere “l’ufficio complicazione affari semplici”».
I suoi colleghi governatori di centrosinistra, da Giani a Emiliano (che aveva parlato al tempo in cui era ministro Boccia di una «Puglia-Stato» con l’autonomia) hanno cambiato opinione sull’aumento delle deleghe per le Regioni. Come spiega questo dietrofront?
«È solo per ideologia. Se pensiamo alla sinistra, che rispetto al massimo, quell’area politica vedeva le azioni della Lega degli anni Novanta e provò a disinnescarne l’energia politica: prima con la Bicamerale e poi con la modifica del Titolo V. La sinistra ha indicato le 23 materie per le Regioni, dicendo: “Non serve votare la Lega, le facciamo noi le cose”. Dal 2001 ad oggi però nessuno ha toccato palla. Il governo Berlusconi è caduto nel 2011, la Meloni è arrivata a Palazzo Chigi nel 2022. In dieci di questi undici anni abbiamo avuto governi con uomini di sinistra che non hanno fatto nulla su questi temi…».
In alcuni casi le istanze dei territori sono state osteggiate.
«Nel giugno del 2014 la legge referendaria per l’autonomia del Veneto è stata impugnata dalla sinistra, ma la Corte costituzionale ci ha dato ragione. Si può certo cambiare idea, ma c’è anche un tema di coerenza davanti ai cittadini».
Le posizioni preconcette e partigiane non aiutano.
«Se mai chiuderemo un progetto di decentramento, vorrei vedere quale collega è in grado di dire che non lo vuole a prescindere per la sua Regione, sia la Puglia o la Campania… Spero che nasca un’area di “no fly zone” dove si possa ragionare scevri dalla ideologie su questa riforma».
La questione della qualità dei servizi al Sud, soprattutto quelli legati ai Lep e al diritto alla Salute come si affronta?
«Questa è una roba che non ha nessun fondamento reale. L’efficienza è la sfida. Abbiamo una Italia a due velocità, con cittadini che vanno a curarsi fuori regione».
Alla Puglia con l’autonomia arriveranno meno soldi per la sanità?
»Il riparto nazionale è già sancito. Poi conta come amministri».
Nel merito?
«Le racconto un dato. Più del 98% delle donne che fanno lo screening al seno in Veneto, davanti ad un cancro, hanno un esito di cura positivo al 95%. Perché? Ho fatto una scelta controcorrente: ho tolto tutti i trattamenti dalle chirurgie generaliste, ho costituito delle breast units, una rivoluzione con team di cura e operatori: ogni professionista segue almeno 150 seni all’anno. È un tema organizzativo e noi abbiamo chiuso 50 ospedali dal dopoguerra ad oggi, ristrutturando il sistema della cura. L’alibi non è dire che se qualcosa non funziona è perché “altri sono scappati con la refurtiva”».
Il gap Nord-Sud?
«Non accuso i miei colleghi governatori, ma la mala gestione di decenni fa pesa su di loro. Cerchiamo di non essere ipocriti, perché nel passato remoto non sono state gestite bene le Regioni».
Autonomia come «opportunità»?
«Pensi al turismo: 73 milioni di turisti in Veneto; 18 miliardi di fatturato. Venezia fa 14 milioni, ma ben 32 milioni vengono dalle nostre spiagge. Sono andato a vedere i dati del turismo nazionale: nel Sud rappresenta solo il 18 %. Su questo fronte ha più margine di crescita il Mezzogiorno che il Nord… Come si fa ad avere solo il 18% al Sud con le bellezze, le coste e le ricchezze enogastronomiche meridiane…».
Che tempi ci sono per la prima devoluzione di competenze?
«Spero che partecipino anche i colleghi del Sud… Andiamo al tavolo con il governo su nove materie».
Se dovesse dare un consiglio non richiesto al governatore Michele Emiliano sull’autonomia, su che deleghe ulteriori gli suggerirebbe di investire?
«Ho un ottimo rapporto con il governatore pugliese. Tutte le 23 materie e le funzioni per materie possono cambiare in meglio la vita per i cittadini. Faccio appello ai cittadini del Sud. Quando si vedrà la trattativa del Veneto, dovranno andare dai governatori a dire: perché non le facciamo anche noi nel Sud? E ai critici dico: se perdete la guerra, poi cosa direte, che l’autonomia non vi interessa?».
Auspica un terzo mandato per i governatori?
«È una anomalia tutta italiana. Abbiamo due cariche elettive, il sindaco e il governatore, che arrivano dal referedum del 1993. Prima venivano scelti dai partiti. È stata una rivoluzione popolare. È stato messo allora un limite con blocco dei mandati. Un sindaco può fare due mandati ma un parlamentare può stare a vita in parlamento. Qualcosa non torna».
Chiede un cambio delle norme?
«La legge pone un limite, ma da qui alle elezioni non so cosa accadrà. Non sto mendicando nulla. Dicevo lo stesso da presidente della provincia eletto».
Farà il sindaco di Venezia?
«Sono tecnicamente candidato a tutto, ma resto concentrato sulla Regione: ho ancora 15 mesi di governo. Mantengo gli impegni fino in fondo con i cittadini. Se si chiuderà questo mandato deciderò cosa fare. Seneca nel De brevitate vitae diceva: “La vita non è breve, ma è l’uomo che la rende breve”».
Come guarda al dibattito sull’Italia rispetto alla nuova Commissione europea?
«Sono un europeista convinto, sono stato nel Consiglio d’Europa da ministro. Ero con Raffaele Fitto in quella stagione nell’ultimo governo Berlusconi. Questo modello di Ue non mi entusiasma, e l’Italia su molte partite arriva sempre da ultima. Sull’immigrazione l’Europa ci lascia soli».
C’è un conflitto sul fronte Est…
«Abbiamo una guerra in Europa e dovremmo noi governare le trattative diplomatiche. Le guerre non si risolvono con le battaglie, ma con la diplomazia. Cerchiamo di anticipare questa fase di dialogo. “La guerra - diceva Ernest Hemingway - è il contesto nel quale gli uomini peggiori mandano a morire gli uomini migliori”. Ricordiamocelo».