Lunedì 08 Settembre 2025 | 03:10

Luciano Violante: «La democrazia? È ora di rigenerarla»

 
Michele De Feudis

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Michele De Feudis

«Antichi miti per sfidare mafie d’oggi»: Luciano Violante e la «Medea»

Dopo la presentazione di ieri a Taranto, oggi Luciano Violante interverrà a Bari, alle 17,30 presso l’Argenteria di via Roberto da Bari, per un dibattito sul suo ultimo saggio, con Anna Maria Tosto e Domenico De Santis. Modera Gianni Di Cagno.

Venerdì 05 Maggio 2023, 20:45

Luciano Violante, presidente della fondazione Leonardo, nel saggio «La democrazia non è gratis» (Marsilio) presenta una analisi della crisi della democrazia in Occidente e nello scenario globale, proponendo una via d’uscita legata a doveri e partecipazione. Quali le spie della debolezza dei Paesi occidentali?

Putin ha detto che l’Occidente è “immorale e decadente” e ha indicato come punti di richiamo il riconoscimento delle unioni omosessuali e l’autorizzazione per le manifestazioni Lgbt. Su questo non abbiamo risposto riaffermando la libertà delle scelte di orientamento sessuali nei nostri Paesi. Anzi. In parlamento alcuni deputati hanno presentato un emendamento per abolire la protezione speciale per gli immigrati perseguiti per orientamenti sessuali, quasi sulla linea russa. Ci sono anche da noi queste pulsioni. Da qui le domande: garantiamo il valore positivo del pluralismo, della libertà d’opinione, lavoriamo per rendere la democrazia decidente? Questi i problemi: la democrazia va adeguata ai tempi».

Le difficoltà dell’Europa sono sovrapponibili a quelle degli Usa?
«Gli Stati Uniti sono uno stato, noi tanti stati, lì si parla una lingua, noi tante. Gli Usa hanno avuto guerra civile, noi tante guerre mondiali. Lì ci sono forti divisioni tra democratici e repubblicani, perché non sono stati educati al rispetto del pluralismo, nella società. Lo scivolamento ci porta a un tribalismo, incentivato dai social media e dalle piattaforme digitali, dove ci si stringe in un cerchio nel quale tutti la pensano allo stesso modo. E ci si disabitua a riconoscere le ragioni degli altri o a cimentarsi nel confronto».

In un altro passo, riconoscendo il ruolo della cultura russa nella storia dell’uomo, descrive il conflitto nell’Est Europa come uno spartiacque.
«Per questo motivo: l’attacco è all’Occidente non solo all’Ucraina. L’aggressione è contro Kiev, ma come dicono Kirill e Putin, è all’Occidente. È un ponte di passaggio per l'aggressione militare e politica all’Occidente. Questa è la questione. Chi evoca la pace ha ragione, ma si può fare quando c’è la condizione di contrapporsi all’altro. L’obiettivo adesso è la tregua».

L’Europa e la rigenerazione dei miti. L’invito a riscoprire il generoso Palamede contro l'utilitarismo di Ulisse si inquadra in questa strada?
«Era un personaggio dimenticato perché onesto. Abbiamo preferito la furbizia di Ulisse al rigore morale di Palamede».
Cultura woke (ideologia dogmatica intollerante, ndr) e politicamente corretto hanno una tentazione totalitaria da combattere?
«Condivido questa sua lettura: si impone una lettura contestualistica della storia, come l’Urss che cancellava le foto dei leader caduti in disgrazia al tempo dello stalinismo. Da qui si torna alla necessità della difesa del pluralismo nella democrazia».

Guardando all’Italia critica l’instabilità degli esecutivi, ma non considera salvifico il presidenzialismo.
«Il presidenzialismo è stato adottato in società pacificate, dove si accetta la vittoria dell’altro. Le società occidentali non sono pacificate, basta vedere cosa succede negli Usa e in Francia. Nella nostra carta c’è un arbitro, il Quirinale. Il presidenzialismo invece non ha arbitri, il capo del paese è anche capo della fazione. Invito alla prudenza: discutiamone pure ma stiamo attenti perché è un sistema pericoloso. Funzionava nell’America prima di Obama o nella Francia di Chirac…».

Sul tema della sicurezza e della Difesa, cruciale per l’industria anche pugliese, è necessaria una nuova consapevolezza degli scenari internazionali?
«Soprattutto da sinistra deve partire una riflessione sulla concezione della sicurezza. Prima era garantita dagli Stati Uniti, ora ci vuole una concezione strategica onnicomprensiva, non per militarizzare il Paese, ma per difendere la comunità nazionale. Basta vedere cosa succede in Ucraina, in Kosovo, in Albania o Serbia».
Nel volume si sofferma anche sulla legittimazione reciproca in politica. Dopo il suo storico discorso alla Camera «sulle ragioni dei vinti» e l’incontro a Trieste con Fini: un invito per Giorgia Meloni e Elly Schlein?
«Penso che il conflitto politico sia essenziale nella democrazia, ma bisogna riconoscere l’altro. La presidente Meloni e la segretaria Schlein si confrontano con categorie ideali diverse, con asperità compatibili con la democrazia».

La strada per il riscatto nazionale dove inizia?
«Si parte dai doveri. Il rispetto è il fondamento di una democrazia, ha bisogno di cittadini democratici, non solo di classi dirigenti democratiche».

Sulla partecipazione?
«Pubblico una lettera di un partigiano di Modena, di 19 anni, che si chiedeva cosa abbiamo sbagliato, e coglie tra gli errori quello dell’indifferenza».

Sembra di sentire risuonare le parole di Antonio Gramsci.
«La democrazia non tollera l’indifferenza».
La sua riflessione fa tornare alla mente la speculazione politico-filosofica mite di uno statista come Aldo Moro.
«Ho avuto grandi maestri, la mia generazione è stata fortunata. Moro è uno di questi. Mi è capitato di pensare anche a Enrico Berlinguer o Ugo Pecchioli. E ho gratitudine per i “piccoli maestri” che per tanti anni mi hanno accompagnato: gli operai della Fiat che mi portavano a Trieste o Bologna, tornavamo alle tre dalle manifestazioni. E la mattina loro andavano in fabbrica. Si impara più da questi militanti di base che dai letterati. Quello che educa sono i comportamenti, non le parole».

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