Sono passati 13 anni dall’uscita del suo Terroni, libro spartiacque nel dibattito meridionalista. Ora, il giornalista e saggista Pino Aprile, presidente del Movimento 24 agosto, è tornato sugli scaffali con una nuova edizione del volume, edita da Libreria Pienogiorno, e con un tempismo invidiabile. Cioè nel bel mezzo di un nuovo scontro sull’autonomia differenziata. Il primo si era consumato cinque anni fa, tra il 2018 e il 2019. «Allora abbiamo vinto - ricorda Aprile - e vinceremo anche questa volta. Ma sarà più difficile.
Aprile, perché sarà più difficile fermare l’autonomia?
«Perché questa volta sono andati avanti. Mi riferisco ai passi politici e tecnici e, in particolare, al via libera in Consiglio dei ministri».
Come andò nel 2018?
«Tutto iniziò con un patto scellerato firmato dal Governo Gentiloni con Regione Veneto e poi esteso a Lombardia ed Emilia Romagna. Non solo non lo resero pubblico ma Gentiloni lo firmò il 28 febbraio a pochissimi giorni, direi a poche ore, dalle Politiche del 4 marzo. Una questione così delicata la lasci al Governo in arrivo».
Poi il documento è venuto fuori....
«Sì, per merito di un attivista di quello che sarebbe diventato il nostro Movimento per l’Equità territoriale. Girai subito le carte al professor Gianfranco Viesti, non potevamo credere a ciò che leggevamo: prima l’autonomia, poi forse i Lep. E le risorse da trasferire correlate al gettito fiscale: più soldi per le regioni più ricche».
A quel punto?
«Iniziò una crociata che culminò nell’appello contro la secessione dei ricchi, firmato da oltre 60mila persone. Una sollevazione. Ricordo di aver trascorso mesi a distribuire numeri, dati, cartelline a deputati e senatori. Una decina di 5 Stelle si convinsero: “Questa porcheria non la votiamo”. E così saltò il Consiglio dei ministri che avrebbe dovuto dare il via libera all’autonomia».
Questa volta il Cdm c’è stato. Ma la proposta Calderoli, ammetterà, non è quella del 2018.
«Stanno provando in tutti modi a rigirare la faccenda per farcela digerire. Certo tra la prima e l’ultima bozza c’è una distanza che sembra abissale...».
.... sta arrivando un «ma»...
«... ma la sostanza è rimasta la stessa: vogliono l’autonomia prima che tutto il Paese sia messo in pari. Cioè abbia lo stesso livello di prestazioni essenziali».
I famosi Lep che si vogliono determinare ma per i quali non sono previste risorse. Il problema è sempre quello?
«Non solo quello. A parte che vogliono definire in sei mesi ciò che non si è riusciti a individuare in vent’anni, l’ex ministro Francesco Boccia stimò i Lep per Sanità, Trasporti e Istruzioni tra gli 80 e i 100 miliardi. Dove sono? Chi ce li ha? L’ultima Manovra è costata 35 miliardi di cui 21 sacrificati per il problema energia. Ne sono rimasti “liberi” 14. Non mi pare siano sufficienti a risolvere il problema. Davvero vogliono prenderci in giro?».
Ma, alla fine, qual è la posta in palio?
«Se l’autonomia va in porto l’Italia si spacca. È la secessione».
Addirittura?
«Guardi, la situazione è molto seria. Le disuguaglianze sono tra i temi economici più frequentati in questi anni. Si misurano con il coefficiente di Gini, compreso fra 1 e 100. È storicamente provato che quando il grado delle disuguaglianze supera il livello 40, le disuguaglianze stesse vengono abbattute con la violenza. Scorre il sangue. Ecco, lei sa qual è, in tutto il mondo, il Paese più vicino al livello 40?».
No, ma tiro a indovinare: l’Italia.
«Esatto. Siamo sull’orlo del baratro e questi vogliono aumentare ancora il carico? Per fortuna il quadro non è così roseo nemmeno per loro».
A cosa si riferisce?
«A quello che io chiamo “Pun”, il Partito unico del Nord. Sull’autonomia non è più così compatto. Confindustria ha apertamente preso posizione contro. Una cosa inimmaginabile fino a sei mesi fa. Anche uno dei campioni del Partito unico, cioè il governatore emiliano Stefano Bonaccini, sta facendo retromarcia. Non so quanto sia reale questo cambio di rotta ma ha capito che se vuole fare il segretario del Pd deve dismettere quella bandiera».
Resta la Lega, irriducibile.
«Ed è naturale che sia così. Ormai per loro è l’ultima battaglia. Se la perdono vanno sotto il 4%».
C’è da dire che, su questo tema, molti governatori del Sud hanno tenuto una posizione ambigua, sbandando parecchio. Prima sì, poi no, poi forse. Perché?
«Perché per loro significa comunque più potere. È un meccanismo coloniale: la colonia, in questo caso il Sud, si impoverisce, ma le sue classi dirigenti, intermediarie col potere centrale, si rafforzano. Le nuove competenze fanno gola. E poi c’è qualcuno davvero convinto, in buona fede, di poter gestire alcuni settori meglio di Roma».
Mettiamo il termometro al Sud. La febbre anti-autonomia onestamente non è molto alta...
«Diciamolo chiaramente: se chiedi a cento persone cosa sia l’autonomia ti risponderanno in tre».
Un disastro, quindi.
«Non proprio. Fino a qualche anno fa quel numero sarebbe stato zero. E comunque anche se la vicenda è ostica, di certo al Sud si è diffusa in questi anni una nuova coscienza».
Cosa è cambiato in questi anni?
«Abbiamo ottenuto dei risultati enormi di cui spesso non ci rendiamo conto. Terroni fu un cerino ma la paglia era lì. Quello che ha fatto la differenza è stato il cambio di passo del meridionalismo. Da raffinata dottrina comunicata da grandissimi autori, come Salvemini o Nitti, ad una élite selezionata di pochi interessati, è diventata un sentire di popolo. Il nuovo meridionalismo, infatti, parla alla gente della strada. E il Mezzogiorno è tornato centrale».
Un esempio concreto?
«Qualunque politico deve passare da qui per vincere qualcosa. Altrimenti non sfonda. Le elezioni si decidono al Sud. È stato così per il Pd di Renzi, per il M5S e ora per Fratelli d’Italia. Per esistere devi mettere una sciarpa meridionalista. Diversamente, Bonaccini insisterebbe con l’autonomia. Certo, è meglio di ciò che vorremmo ma è una base di partenza».
Una «base» che intende usare nella battaglia contro l’autonomia?
«Dobbiamo osteggiarla ovunque, dalle piazze ai social, chiedendo conto delle loro scelte ai nostri rappresentanti che hanno deciso di appoggiarla. Quando tornano a casa per il weekend chiedete loro: mi spieghi perché ti schieri con i nemici del Sud contro di noi? Sarà dura, ma vinceremo anche questa volta».