Cresce di oltre 386 metri cubi il volume dei rifiuti radioattivi presente in Puglia e Basilicata. Lo rileva l’Isin-Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione nel suo ultimo Inventario da poco pubblicato sul sito ufficiale www.isinucleare.it e aggiornato al 31 dicembre 2021.
Stando all’autorità di controllo la massa di radiotossica del nostro Paese ammonta, complessivamente, a 31.812,5 metri cubi, con un aumento di 60,9 metri cubi rispetto al 2020. Se però si guarda ai territori con attenzione si scopre che ci sono state regioni che si sono alleggerite della loro dote di veleni (Lombardia, Emilia Romagna e Campania) e altre che hanno espanso il proprio stock in termini di volume. Queste ultime sono il Piemonte (da 5.384 metri cubi a 5.824 metri cubi, +440 metri cubi), Toscana (da 894 metri cubi a 1.034 metri cubi, +140 metri cubi), Lazio (da 9.504 metri cubi a 10.026 metri cubi, +522 metri cubi), Basilicata (da 3.526 metri cubi a 3.822 metri cubi, +296 metri cubi) e Puglia (da 535 metri cubi a 625 metri cubi, +90,53 metri cubi).
L’Isin spiega che «a determinare questo aumento è la produzione di nuovi rifiuti radioattivi, determinata da attività di smantellamento e/o bonifica».
Il Lazio si conferma la regione con il volume maggiore di rifiuti radioattivi detenuti: 10.026 metri cubi, il 31,52% del totale nazionale.
In termini di radioattività, la regione che figura al primo posto è il Piemonte con il 72,65% del totale nazionale, cioè 2.023.654 GBq (la radioattività presente in una determinata quantità di materia si misura in Becquerel, cioè Bq, mentre il GBq è il Gigabecquerel che è pari a un miliardo di Becquerel; ndr). Seguono la Campania (353.868 GBq, pari al 12,70% del totale), Basilicata (243.578 GBq, l’8,74% del totale), Lombardia (98.396 Gbq, 3,53%), Lazio (57.758 GBq, 2,07%) Toscana (7.007 GBq, 0,25%), Emilia Romagna (1.125 GBq, 0,04%) e Puglia (8 Gbq).
Val la pena di specificare che qui si parla del patrimonio radiotossico nazionale civile a valle delle attività nucleari nazionali (produzione di energia, esperimenti, ricerca scientifica) e sanitarie. E siccome, col passare del tempo, diminuisce la carica di feralità anche dei materiali radioattivi più pericolosi, l’Inventario registra il calo dell’attività di sorgenti dismesse (-37.997,5 GBq rispetto al 2020, per un totale di 837.788,2 GBq) e combustibile irraggiato (-863,2 TBq rispetto al 2020, per un totale di 33.280,3 TBq).
L’attività totale dei rifiuti radioattivi detenuti in Italia è pari a 2.785.393,9 GBq, con una diminuzione, rispetto al 2020, di 43.541,16 Gbq.
«Il 99% del combustibile irraggiato delle quattro centrali nucleari nazionali dismesse - spiega Isin - non si trova più in Italia: è stato inviato in Francia e in Gran Bretagna, dove è stato sottoposto a riprocessamento». In termini semplici, si tratta di un’attività che consente di deflazionare la pericolosità di questo materiale ma - chiarisce l’ispettorato - i rifiuti che saranno generati faranno rientro in Italia. Si sommeranno così a tutti quelli già presenti sul territorio nazionale. Nelle intenzioni dello Stato italiano, tutto finirà nei Depositi nazionali, l’uno imperituro in cui saranno tombati i rifiuti meno pericolosi e l’altro temporaneo - “temporaneo” per almeno 50 anni - dove saranno stipati quelli più pericolosi, in attesa di trovare una collocazione davvero idonea.
Come si ricorderà, anche lembi di Puglia e Basilicata sono ritenuti idonei per queste infrastrutture che occuperanno circa 150 ettari (incluso un Parco tecnologico). In Basilicata i siti prescelti sono a Genzano, Irsina, Acerenza, Oppido Lucano, Matera, Bernalda, Montalbano Ionico e Montescaglioso, tra le province di Potenza e Matera. In Puglia nell’area di Gravina e Altamura (in provincia di Bari) e Laterza (in provincia di Taranto).
Entrambe le regioni si sono opposte all’insediamento, ma l’iter non è ancora concluso.