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I colori delle stelle scoperti da Artemisia

 
Raffaele Nigro

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Raffaele Nigro

I colori delle stelle scoperti da Artemisia

La grande pittrice Gentileschi e la sua vita piena di battaglie emergono dal libro di Raffaele Messina

Mercoledì 07 Dicembre 2022, 10:04

Con un documentato processo d’inquisizione svolto intorno ad una giovane Artemisia Gentileschi e al suo stupratore, Agostino Tassi, si apre il romanzo di Raffaele Messina, Artemisia e i colori delle stelle, edito da Colonnese di Napoli. Un romanzo che ha come fondamento la ricostruzione della vita di Artemisia a Napoli. Un aspetto poco trattato dalla critica storica e dalla narrativa.

Nata l’8 luglio 1593 Artemisia è stata riscoperta solo negli ultimi decenni e considerata la maggiore pittrice italiana di tutti i tempi, ma anche la protagonista di una vicenda drammatica che investe il destino di molte donne violate nel corpo e nell’anima.

Figlia di Orazio, un affermato pittore toscano passato per lavoro a Roma, Artemisia è stata avviata alla stessa professione, ma un allievo del padre a cui è permesso di entrare in bottega, approfitta della circostanza per violentare la ragazza. È il maggio del 1611 e la ragazza ha 17 anni. Il furbo Agostino ha promesso alla ragazza di sposarla, ma dopo un anno ancora non si è giunti a un punto decisivo, anzi Artemisia scopre che il fidanzato ha già una moglie e non resta che denunciarlo per stupro.

Messina che ama riportare il punto di vista dei singoli soggetti, come una tragedia ricca di battute, mette in bocca alla sua protagonista il dialetto seicentesco di Roma, a Orazio quello di Firenze, ottenendo un realismo molto vivo che non fa a meno di sprofondare persino nel battibecco truculento consumato tra Agostino e i galeotti romani di Tor di Nona o tra gli artigiani dell’osteria alla Fontana di Trevi. Orazio è invece un padre che si macera per aver commesso troppi errori, aver quasi tenuta prigioniera la figlia ma di aver accettato che il Tassi, un pittore protetto dalla famiglia dei Medici di sposare la figlia, pur avendo quasi il doppio di anni.

Intorno agiscono altri deuteragonisti, come il viscido Cosimo Quorli o il Procolo, un ragazzo di bottega che vive in casa Gentileschi il quale non ha occhi che per Artemisia, per il suo corpo florido nascosto sotto il casaccone che la copre durante il lavoro. Perché lei è una pittrice di qualità, una a cui il padre ha spiegato la filosofia della luce quale viene studiata e usata da maestri come Caravaggio e Carracci.

Tra padre e figlia cala un silenzio di colpevolizzazione, un silenzio che cade solo quando Orazio tornando in bottega si troverà davanti agli occhi un dipinto molto eloquente, è Susanna e i vecchioni, dove Susanna è Artemisia, i vecchioni sono il Tassi e un suo amico, Quorli, un energumeno che avrebbe voluto possedere la ragazza. Ma senza fortuna. La prima parte del romanzo si conclude con la sentenza dell’inquisitore, il Tassi viene esiliato. In quanto ad Artemisia accetta di sposare Pietrantonio Stiattesi, un giovane squattrinato che con la dote della ragazza potrà colmare i propri debiti.

La seconda parte del libro ci sposta da Roma a Napoli. Messina intende percorrere gli anni napoletani di Artemisia, che non sono stati mai raccontati. È la parte più intensa del libro. Siamo tra il 1648 e il 49, Masaniello è morto da poco e Artemisia, tornata da Londra ha a servizio una fantesca giovanissima, Fernanda, tolta dalla fame cui era condannata. Ora ha due figlie, tirate su con la forza dell’arte. Ha perso altri figli, Lisabella, Cristofano, Giovan Battista e ha perso il marito e altri compagni di letto. È una donna matura e un’artista affermata e chiacchierata. Ma protetta dai nobili, se è stata invitata a corte da don Josè d’Austria per festeggiare l’arrivo del viceré De Guevara. E amata dagli artisti, se la troviamo affianco di Massimo Stanzione, forse il più importante pittore del Mezzogiorno. Insieme visitano la Certosa di san Martino e si lasciano stupire dalla bellezza di Napoli vista dall’alto. Una Napoli ricca di artisti che orbitano attorno a Stanzione e a Caravaggio, Battistello Caracciolo, Guido Reni, Giuseppe de Ribera, Giovanni Lanfranco, Mattia Preti. Artemisia si spinge verso il colore folgorante delle stelle, come nel titolo del libro.

Messina si trova a suo agio nel descrivere la Napoli del Seicento, nel corrimano di un saggio di Nino Leone, e nelle descrizioni di Jean Noel Schifano. Siamo in una città spagnola, afflitta da lotte tra dominatori e ribelli, figure come Aniello Falcone e Bernardina Pisa, battona e regina dei bassifondi costretta a riparare in campagna, dopo alcuni giorni di prigione e l’assassinio del marito. Artemisia non ha perso il carattere ribelle e va in cerca di Berardina per aiutarla. Ma cercarla in quel ventre della città dominata dalla malavita è un’impresa complicatissima. Messina scrive un capitolo magistrale e impressionante, la Napoli spagnola e delinquenziale è questa, il lordume di un anfratto dell’inferno diviso tra ladri violenti prostitute soldatacci e papponi. È il mondo in cui si è immerso Caravaggio e che propone ad Artemisia una nuova Giuditta, memore di quella Giuditta che decapita Oloferne dipinta in gioventù. Giuditta è lei, è la sua rabbia mai sopita, per un mondo che non le ha mai concesso respiro e che a tutte le donne non riesce a risparmiare alcunché.

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