Si è conclusa a Monopoli, nel castello Carlo V, una mostra molto suggestiva di Roberto Montemurro, ma io ritengo che non sarebbe sbagliato dedicargli uno spazio permanente, per il legame che si coglie tra la cultura figula pugliese di età arcaica e questa produzione contemporanea.
Lo raggiungo talvolta in bottega, a ridosso della cinta muraria di Monopoli. Sento risuonare l’alzabandiera da un picchetto d’onore in terracotta. Ma molti soldati riposano avvolti da pagine di giornale, altri sono in posizione di parata su assi di legno e su tavoli circostanti.
Mi spiega che iniziò a modellare soldati negli anni in cui esplodeva in Italia la Nuova Maniera voluta da Giuseppe Gatt e se gli artisti a lui contemporanei, da Beppe Labianca a Bruno D’Arcevia e a Leo Morelli e Renato Nosek si muovevano tra Rinascimento e Barocco pittorico, Roberto preferì seguire una via tutta sua, non affidata al pennello bensì alle mani, alle spatole e al forno. Cominciò traendo dalla creta figure di cavalieri e cavalli in fuga, colti nel momento di un salto o al più fermi e statuari, cavalcati da paggi e principi che avevano qualcosa di Paolo Uccello, di Bramante, di Filippo Lippi o del mondo di Tolkien. La creta non era levigata, ma abbozzata per un non finito che ricordava i muri di calce, in grado di raccontare l’adesione dell’artista a un’atmosfera di epicità popolaresca.
Perché Montemurro è una persona che ti sgrana gli occhi come un bambino sorpreso dalla bellezza di un giocattolo. Non è affatto un guerrafondaio, ma un cultore della memoria, individuale e collettiva . È l’unica interpretazione che mi permette di raccapezzarmi nel dissidio tra la dolcezza dei suoi occhi e la voglia di epicità che comunicano questi soldati.
Ricordo i pupi più antichi. Erano dipinti con colori pastello, in sella a cavalli bianchi come lipizzani ma poderosi come normanni e murgesi. Era la tradizione magnogreca che osserviamo nella ceramica in rosa delle tombe canosine, le stesse che hanno influenzato la ceramica dei fratelli Spizzico. Voleva che si sentisse la forza, la muscolatura, la potenza e al tempo stesso la freschezza e la tenerezza di quel mondo arcaico che fiorisce affianco alla ceramica raffinata e leccata del mondo Greco, quasi l’intervento di una mano infantile che produce pupi rasposi come i muri dei trulli.
Nato a Bari nel 1940, Montemurro ha insegnato nell’accademia di Belle Arti di Monopoli dove ha frequentato amici pittori come Adolfo Grassi, Vito Stifano e Luigi Russo. Ha realizzato molte personali tra cui nel 1998 a Modugno Fabulazione e miti; nel 2001 a Monopoli, La Puglia e i soldati borbonici; nel 2001 a Potenza Briganti a colori e briganti in bianco e nero; nel 2007 a Molfetta, e ha partecipato a varie edizioni di Expoarte presso la Fiera del Levante di Bari,
Lo studio è sempre più affollato di pupi, alti un mezzo metro e simili in qualche modo ai soldati dell’imperatore cinese Qin Shi Huang nel museo di Xi’an. Non sono ottomila, come nella collezione dell’imperatore tuttavia sono tanti i soldati di Roberto, pronti a difenderlo da tutti e da tutto. È il sogno dell’infanzia che sopravvive nella maturità. Ricordo i cavalli possenti di ascendenza rinascimentale sui quali sistemava elfi e principesse, memorie scolari di Paolo Uccello, di Filippo Lippi e di Leonardo affioranti continuamente nel suo mondo pittorico e scultoreo. Memorie di quel popolareggiante pugliese che fu Stefano da Putignano, delle cui opere sono disseminate le nostre chiese. E infatti Roberto amava certamente la finezza fiorentina ma non disdegnava la ponderosità naif di Stefano. Il Rinascimento e la pittura del Tre e Quattrocento sono stati comunque i mondi nei quali per decenni egli ha abitato.
Dal rinascimento Montemurro è passato all’età romantica, sposando la linea neoborbonica e reagendo alla violenza antimeridionale della Lega Nord. Ha raffigurato Franceschiello e Maria Sofia d’Austria e intorno ai reali un esercito borbonico diviso tra fanti, uomini di Marina militare, cavalleria. Con una pietà indicibile per un mondo sconfitto.
Con i militari ci sono anche briganti a cavallo, altri sconfitti della Nuova Italia. Arrivando nell’ultima produzione a raffigurare persino soldati dell’esercito tedesco. Vicinanza politica alla Germania nazista? Tutt’altro. Roberto è solo un attento osservatore della realtà storica, è un appassionato di divise e soprattutto di coloro che sono sconfitti dalla storia.
Sta di fatto che lo scultore non viene meno a una passione che si accosta alla giocheria di Pino Pascali ma che da quel mondo nulla prende in prestito. Una volta, anzi, in una conversazione esplicativa mi disse che da ragazzo aveva sempre desiderato possedere una collezione di soldatini, ma che le finanze di famiglia non glielo permettevano. Dal Cinquecento egli si è spostato all’Ottocento, a un mondo di macchiaioli e ha sposato i colori e le atmosfere care a Fattori, a Silvestro Lega e a Telemaco Signorini. In primis Fattori, con la sua serie di lancieri e di legionari a caccia di briganti. A questo gusto si è unita la passione del ceramista, che ha cercato nel verismo e non nella reinvenzione fantastica la sua soluzione ultima. Direi insomma che il passaggio dal fantasy e dal mondo fabuloso del medioevo ha dato la mano alla poderosità rinascimentale e poi al realismo ottocentesco, ciò che ha comportato una perdita di invenzione e l’acquisto dell’analiticità e della puntigliosità descrittiva.