PALERMO - Era un boss all'antica Gaetano Badalamenti, 80 anni, originario di Cinisi ma dal 1984 detenuto nel carcere federale di Fairton nel New Jersey, dove sarebbe dovuto uscire nel 2014. Era detenuto negli Stati Uniti per scontare una condanna a 45 anni per un traffico internazionale di droga, e finora ne aveva scontati circa 20.
Al giudice americano Pierre Leval che negli anni Ottanta gli chiedeva se fosse un componente di Cosa nostra, Badalamenti ha sempre fornito la stessa lapidaria risposta: «Se lo fossi non ve lo direi, per rispettare il giuramento fatto».
Dal giorno del suo arresto, effettuato a Madrid l'8 aprile del 1984 da agenti guidati da Gianni De Gennaro, attuale capo della Polizia italiana, il vecchio capomafia di Cinisi non ha mai cambiato atteggiamento.
Badalamenti porta nella tomba scottanti segreti e misteri di Cosa nostra, di cui era custode. Le sue informazioni spaziavano in un arco di tempo che va dallo sbarco degli Alleati in Sicilia ai giorni nostri.
Condannato definitivamente all'ergastolo per l'omicidio di Peppino Impastato, è stato assolto lo scorso anno dalla Cassazione, assieme a Giulio Andreotti, dall'accusa di essere il mandante dell'omicidio del giornalista Mino Pecorelli.
Il boss - che è deceduto per un male incurabile nel New Jersey - era amico del leggendario Lucky Luciano, e per vendicarlo di un affronto subito durante un breve soggiorno in Italia, don Tano non esitò a commissionare l'uccisione dell'incauto autore dello «sgarro».
Per spiegare la personalità autoritaria e un po' vanesia di Badalamenti, il pentito Antonino Calderone aveva raccontato i retroscena dell'episodio: «Ho appreso da Badalamenti personalmente - ha detto Calderone - che in occasione dell'arrivo in Italia di Lucky Luciano, quest'ultimo all'ippodromo di Agnano era stato preso a schiaffi da un uomo. Ebbene, Tano Badalamenti si vantava con me e con altri che, come suo primo atto, dopo che era stato nominato rappresentante provinciale di Palermo, aveva dato ordine a Salvatore Zaza di eliminare l'aggressore di Luciano che, in effetti, venne poco dopo ucciso in un paese vicino Napoli».
Ma la vendetta del padrino di Cinisi non si fermò qui. «Don Tano - aggiunge Calderone - aveva comunicato subito negli Usa che l'offesa era stata lavata sia pure a distanza di tanti anni».
Secondo il pentito, Badalamenti era inoltre il maggiore artefice, dopo il processo di Catanzaro, di quella serie di attentati in Sicilia che miravano a far presente che la mafia era tornata più forte di prima: «Soleva ripetere - ha concluso Calderone - che occorreva buttare a mare tutti i carabinieri».
Estradato negli Stati Uniti, condannato a 45 anni di reclusione nel processo "Pizza Connection", don Tano è considerato un detenuto modello: rispettoso e di poche parole.
La sua è la storia di un padrino della vecchia guardia mafiosa. Nato a Cinisi nel 1923, emigrato clandestinamente negli Usa nel 1947, rispedito in Italia nel 1950, il vecchio patriarca mette a frutto l'esperienza americana per costituire la prima «commissione» mafiosa nella Sicilia del dopoguerra. Non gli mancano, del resto, i supporter. Per consigliarlo, si precipita a Palermo persino Joseph Bonanno. Ma il 30 giugno 1963 esplode a Ciaculli una Giulietta imbottita di tritolo e muoiono sette persone. Dopo la strage, i padrini, avvertendo di essere esposti, preferiscono sciogliere "temporaneamente" il vertice di Cosa nostra». Ci vorranno sette anni per allentare la tensione. E nel 1970, al fianco di Luciano Liggio e Stefano Bontade, don Tano è nel triumvirato che guida la rinascita dell'organizzazione mafiosa. Nel 1971, Badalamenti è eletto al vertice della Cupola mafiosa.
Fedelissimo di Bontade, don Tano è da sempre un fiero avversario dei corleonesi di Totò Riina e Luciano Liggio. Nessuno, neppure Tommaso Buscetta ha mai saputo perché nel 1978 il boss di Cinisi sia stato messo da parte, ma nel 1981 (alla vigilia della guerra di mafia), Badalamenti è costretto a lasciare la Sicilia. Si rifugia in Brasile e proprio in Sudamerica incontra Buscetta. «Fu in Brasile - ha detto don Masino - che don Tano mi disse tutto dell'omicidio Pecorelli». Badalamenti lo smentisce: «Parlammo di legname».
Il boss di Cinisi è un amico fedele degli apparati Usa. Con gli alleati nel 1945, don Tano avrebbe preparato lo sbarco delle truppe americane in Sicilia: «Ho combattuto i fascisti - si vanta - come un partigiano». Mezzo secolo dopo, nel carcere di Fairton è riuscito a strappare alla giustizia americana un significativo sconto di pena: quindici anni.
Venerdì 30 Aprile 2004, 14:56
28 Ottobre 2024, 18:40