Saranno gli accertamenti della magistratura a stabilire cause e responsabilità del drammatico incidente mortale avvenuto ieri mattina in un supermercato a Firenze. Ma non sarà sicuramente un processo a restituire alle famiglie gli operai morti, né ad arrestare una scia di sangue sempre più lunga. L’azione repressiva è obbligatoria e necessaria per comprendere errori, colpe e omissioni ma non è con la repressione che si scongiurano le morti bianche. Serve tanta formazione, spesso sconosciuta anche tra maestranze con diversi anni di cantieri alle spalle, e occorre una solida cultura del lavoro.
Quando muore un operaio, si butta subito l’occhio indagatore sul datore di lavoro, come se fosse sicuramente colpa sua e come se dall’infortunio gli derivasse chissà quale vantaggio. Non è naturalmente così, salvo nefaste eccezioni, perché per l’imprenditore perdere un lavoratore rappresenta comunque un danno.
In ogni settore l’incolumità fisica di ogni lavoratore dovrebbe essere concepito come un inderogabile dovere morale. L’inosservanza delle regole, insieme ai mancati investimenti per la sicurezza degli ambienti di lavoro, sono fattori sui quali occorre intervenire in maniera congiunta, creando spazi lavorativi che non soltanto garantiscano, ma anche valorizzino il benessere e la salute del lavoratore.
Serve un patto comune per continuare a far leva su strumenti di prevenzione, di controllo e di formazione sempre più all'avanguardia, ma anche sulla promozione di una cultura della sicurezza che riconosca nelle risorse da destinare a tale scopo un’opportunità di sviluppo e non solo un costo da sostenere. Bisogna promuovere, sin dalle scuole dell’obbligo, una cultura che restituisca al lavoro la dignità che la Carta Costituzionale gli riconosce, la sua giusta funzione di strumento attraverso il quale l’uomo ha la possibilità di emanciparsi e di contribuire ad una società pienamente libera, democratica e sicura.