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Il rebus della città difficile da definire

 
Redazione online

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Il rebus della città difficile da definire

Dal neoclassicismo all’epoca contemporanea, eserciti di architetti, armati di matita e di immaginazione hanno disegnato città ideali o città- macchina. Ma cosa c’è dietro le forme?

Lunedì 13 Ottobre 2025, 05:07

Città. Parola comune: così difficile da definire; è la cosa a chiunque vicina, ma che pochi (o nessuno) riesce a spiegare fino in fondo.

Dal neoclassicismo all’epoca contemporanea, eserciti di architetti, armati di matita e di immaginazione hanno disegnato città ideali o città- macchina; perfettamente funzionanti, ma poco coinvolgenti dal punto di vista emotivo (vedi gli esempi razionalisti); geometricamente controllate o organicamente adagiate al suolo; progetti magnificenti: alcuni realizzati, altri rimasti sulla carta. 

Ma cosa c’è dietro le forme? O meglio: cosa c’è tra le forme? La città si sviluppa secondo processi organici che vanno di pari passo con i cambiamenti economici, sociali e culturali. Tra le forme, tra gli edifici, ci sono le persone.

La città nasce dalla visione di chi la abita; dal modo di vivere e di muoversi; dal modo di rispondere ai bisogni. La città è lo spazio fisico di chi decide di convivere in un territorio; il luogo dove condividere idee, abitudini e vita.

E se è vero che gli edifici, le piazze, gli spazi pubblici e privati nascono per rispondere alle esigenze della gente, allora non esiste città senza i cittadini.

Ma cosa accade se, ad un certo punto, proprio gli abitanti che sono l’essenza dello spazio urbano si trovano vittime di progressivi processi di espulsione dai luoghi in cui vivono?

Nel libro Città in affitto di Gessi White edito da Laterza, il collettivo di autori riconosce la genesi del cambiamento nella visione di città determinato dal fenomeno della finanziarizzazione della casa ovvero dal nuovo valore “azionario” del bene.

Inquieta il sottotitolo: «Un requiem per il diritto all’abitare». Si, perché l’abitare è un diritto fondamentale. Lo dicono anche i Padri Costituenti quando nell’art. 47 affermano: «La Repubblica (…) Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione (…)».

La casa è la cellula base della città, materiale e immateriale. Nelle case vivono le persone che poi si relazionano tra loro anche nello spazio pubblico. Gli abitanti con i loro habitus, la loro cultura, le loro credenze sono l’anima della città. 

Sembrano ormai lontani i tempi del Covid, quando le città erano vuote perché eravamo costretti a restare chiusi in casa; sono passati meno di cinque anni, eppure, è ormai rimosso il senso di desolazione che si avvertiva guardando fuori dalla finestra o, in tv, papa Francesco celebrare messa in una piazza San Pietro deserta; certo, l’acqua della laguna era tornata limpida, ma dov’era finita la Venezia delle maschere, dei vaporetti, dei sensi unici per i pedoni? Le città erano semplicemente insiemi di edifici senza anima.

La memoria di quei giorni - sebbene a breve termine - non basta come monito per allarmarci rispetto a quello che succede oggi, soprattutto nei centri storici delle città italiane ed europee.

Con la finanziarizzazione della casa, oggi, si è perso il senso del valore civico dello spazio urbano. L’abitazione va “messa a reddito”. Affitti brevi o alle stelle e prezzi proibitivi per l’acquisto costringono gli abitanti a spostarsi dai quartieri in cui sono nati e cresciuti verso centri limitrofi minori, dove i costi della vita sono più sostenibili.

Ma che cos’è un quartiere senza la gente che tra quelle strade ci è nata e vissuta? Quali sono i motivi di questa progressiva espulsione degli abitanti dal loro quartiere? Due le risposte: la turistificazione e la gentrificazione.

La prima è dovuta al sovraffollamento turistico che richiede inevitabili trasformazioni architettoniche e urbanistiche; i fasti degli antichi palazzi si “sbriciolano” in tante stanzette di bed and breakfast; gli spazi pubblici vengono “privatizzati” per creare dehors e lussuosissimi stabilimenti balneari. Si adattano gli spazi per un’utenza “mordi e fuggi”. Si preferisce il fugace all’identità.

La seconda (gentrificazione) è il progressivo “imborghesimento” dei quartieri popolari che avviene attraverso la graduale espulsione della popolazione originaria, sostituita da ricchi proprietari. I nuovi “borghesi” sono attirati dalla vivacità dei centri cittadini; dalla spontaneità dell’edilizia storica, dai colori, dai rumori, dai suoni; cacciano via, però, chi produce quei suoni, quei colori e quella vivacità accontentandosi (anche con una certa, incolta, soddisfazione) di feticci di lusso, che sempre feticci rimangono.

Anche Gaza, dopo la tabula rasa della guerra, viene immaginata come un resort di lusso e non certo abitato da palestinesi.

Questi processi altro non sono che la negazione del diritto di abitare dove si è nati e dove si vuole, a meno che non si posseggano ingenti risorse finanziarie.

Le città perdono la loro anima, ma pullulano di turisti. I centri urbani divengono solo splendide sequenze di edifici abitati per qualche giorno da stranieri venuti da chissà dove. Splendide e inanimate cartoline da fittare.

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