«Del colore dell’ombra / si dipinge la sera / interminabile per me / da te lontana. / Occhi, cuore, anima pungolano / quell’insistente desiderio / che vuole che ti chiami. / D’un colore d’ombra si velano / cuore anima ed occhi / persi nella sera / d’attesa interminabile. / Ombra è il colore / del cuore, degli occhi, dell’anima, / in un’attesa senza fine, persi. / Cuore, anima ed occhi, / ombre nell’inoltrata notte / aspettano». Questa è Colore d’ombra di Bruna Bianco, poesia contenuta nella raccolta Dialogo (1966-68) di Giuseppe Ungaretti, una delle testimonianze più luminose di come l’amore e la parola poetica possano scivolare l’uno nell’altra.
Con La terra promessa, «con la visione, ancora di deserto anzi di deserto soltanto – scrive Leone Piccioni, in Ungarettiana (1980) –, in una cupa chiusura, che pur non contraddice (neanche questa volta) a una religiosa speranza», si chiude una stagione della produzione di Ungaretti. Sembrava dovesse essere l’ultima e, invece, era la penultima. L’ultima arriverà sette anni dopo, sette anni di quasi assoluto silenzio, quando Ungaretti è prossimo agli ottant’anni. Una stagione, scrive ancora Piccioni, di nuovo appassionata e ardente: ecco nove poesie d’amore, amore vivo, d’amore ancora, insieme, dei sensi e della mente, con Dialogo. A queste nove poesie d’amore, Ungaretti fa seguire cinque altre poesie, sotto il titolo Repliche di Bruna, scritte, per l’appunto da Bruna. Chi è? È Bruna Bianco, una giovane ventiseienne che Ungaretti incontra nell’estate del 1966 in Brasile, terra a lui molto familiare, dove si era recato per una serie di conferenze. A quanto pare, vestita con un abito rosso, al termine di uno di questi incontri pubblici, Bruna gli si avvicina, consegnandogli alcune sue poesie. Da quel momento, prenderà avvio uno scambio epistolare molto fitto (diverse centinaia di lettere, raccolte nel volume Lettere a Bruna), dal quale emerge un sentimento fortissimo e profondo, un vero e proprio amore, tanto travolgente quanto impossibile. E di questo sentimento è testimonianza anche Colore d’ombra, poesia che Bruna scrive e dedica al suo Ungà – è così che lo chiamava –, al quale rivolge parole e pensieri straordinariamente intensi: «Nell’ombra mia sigillo il tuo pensiero / Ed è il suo scrigno un’anima fanciulla. / Del primo incontro l’attimo passò / E, breve, il tuo ritorno l’indomani / Mi ha chiuso come in un tumulo di secoli», scrive Bruna Bianco nella poesia Solitudine. Anche qui, torna l’immagine dell’ombra, quella della sera interminabile, lontana dal suo amato, così come ombre sono cuore, anima e occhi che, nell’inoltrata notte, aspettano.
“Attesa senza fine”, “sera interminabile”, “tumulo di secoli”: è un ripetersi di figure e immagini che hanno a che fare con il tempo o, meglio, con l’eternità, con il tentativo, di entrambi gli amanti, di consegnare a un presente senza fine il loro amore. Un amore vissuto come ineluttabile destino e, allo stesso tempo, come inatteso germogliare di nuovi fiori, come un’imprevedibile rinascita. Tuttavia, in quest’amore già si insinua il dolore della perdita, la fine di un sogno decretata da un addio. E allora non resterà che una «dolorosa rincorsa / dell’immagine amata».